ALESSANDRA LESCANO, LEADER DI UN TRIO SCOMODO

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Alessandra Lescano era la maggiore di tre sorelle che dalla seconda metà degli anni ’30 si esibivano, come gruppo canoro, con il nome Trio Lescano.

Se provassimo a fare un sondaggio per stabilire quanto, e da chi, fossero conosciute avremmo delle sorprese. Magari non tra i più anziani. I più giovani, però, chi può contare su meno di sessanta primavere per intendersi, potrebbero avere familiarità solo se appassionati di musica. Sicuramente su personaggi coevi come Fred Astaire, Louis Armstrong, Ella Fitzgerald, Billie Holiday gli smarrimenti sarebbero inferiori. Alessandra e il trio hanno avuto vicende alterne che ne hanno fatta impennare la notorietà per poi offuscarla, fino a confinarla nel dimenticatoio. Era la sorella più grande e, al tempo stesso, la leader influente del gruppo. Il trio ha avuto un rapporto simbiotico con la radio: con essa il gruppo ha aumentato notevolmente la propria notorietà e il prezioso strumento si è arricchito al punto da dover rimodulare il proprio palinsesto, dando sempre maggior spazio alla musica leggera. Grazie anche alle tre sorelle la radio ha riorientato il suo percorso dopo un periodo di comprensibile smarrimento. La guerra ed altri accadimenti ne rallenteranno il processo di sviluppo, ma la strada era tracciata ed una delle pietre miliari è stata posta proprio da Alessandra e sorelle.

Chi era Alessandra?

Alexandrina (1910-1987), Judith (1913-1975?) e Catharina (1919-1965) Leschan potevano considerarsi figlie d’arte. Il padre, Alexander Leschan, era figlio di un ufficiale di Artiglieria dell’esercito austro-ungarico. Contrariamente a quanto auspicato dal padre preferì seguire la vita del circo. Iniziò come acrobata, ma dovette proseguire la carriera come clown per un incidente. Sposò in seconde nozze Eva de Leeuwe, un’olandese di religione ebraica cantante d’operetta, a detta delle figlie. Loro nacquero in Olanda, Alexandrina a Gouda, le altre due a L’Aja. Tra Eva e Alexander sorsero dissapori, anche a seguito della morte del loro unico figlio maschio. Dopo essersi separati il padre ritornò in Ungheria e, di fatto, scomparve dalla scena.

Le due sorelle maggiori, fin da piccole, si erano esibite nel circo come acrobate, e anche come ballerine in un gruppo di danza moderna. La madre, definita amorevolmente “il carabiniere”, le seguiva sempre, le stimolava e svolgeva funzioni di manager. Eva formò “The Sundays Girls”, un gruppo di danza composto originariamente da sette ballerine nel quale le sue due figlie spiccavano per talento acrobatico. Dopo poco tempo il gruppo si sciolse per costituire il duo acrobatico “Sunday Sisters”, composto solo dalle due Leschan. E fu con questa formazione che Alexandra e Judith si esibirono tra Europa e Medio Oriente nelle tournée organizzate da Portino, nuovo compagno della madre, i cui problemi di salute, nel 1935, convinsero Eva a stabilirsi con le figlie a Torino. In città continuarono ad esibirsi e ad attirare l’attenzione del maestro Carlo Prato, direttore artistico dell’EIAR, colpito soprattutto dal loro talento per il canto. Era alla ricerca di nuove voci femminili che potessero emulare il trio americano Boswell Sisters. Appreso da Eva che aveva un’altra figlia in Olanda le consigliò vivamente di farla venire a Torino per poter formare un trio insieme alle sorelle. In questo modo verrà ingaggiata anche la terza Leschan e tutte insieme inizieranno un duro tirocinio.

Alessandra e le origini di un mito

A questo punto le tre sorelle devono imparare a cantare, armonizzare le voci ed adattarsi allo stile della canzone italiana. I loro nomi si italianizzeranno in Alessandra, Giuditta e Caterinetta. Daranno vita all’italianissimo Trio Lescano, andando di pari passo con le intenzioni del regime che, con una circolare del 1924, chiariva che nomi e testi stranieri da quel momento dovevano sempre essere tradotti. L’inizio del loro percorso canoro è ben sintetizzato da Alessandra in un’intervista tantissimi anni dopo: “A Torino incontrammo, quasi per caso, il Maestro Carlo Prato, che ci sentì cantare ed ebbe l’idea di formare un complesso vocale. Quando facemmo l’audizione all’EIAR venimmo scartate. La nostra dizione non era piaciuta ai dirigenti e ci invitarono a riprendere il nostro mestiere di ballerine. Ma poco tempo dopo fummo invitate dalla Cetra per incidere il nostro primo disco. L’EIAR ci richiamò. La nostra prima trasmissione venne fatta sotto la direzione del Maestro Petralia. Il Maestro che inventò il Trio Lescano, Carlo Prato, ci aveva insegnato a seguire una ‘nostra’ nota ed un ‘nostro’ tono: ognuna di noi, quindi, seguiva un determinato modulo con risultati evidentemente soddisfacenti per l’ascoltatore”. In EIAR per ore e ore, ogni giorno, senza tregua, per mesi interi il maestro Prato allenò le tre ragazze. Si trattava di fondere armonicamente tre differenti timbri di voce. Impresa resa più difficile dalla non familiarità con la lingua italiana.

Il trio venne incoraggiato anche dal regista Riccardo Morbelli, fresco del successo radiofonico dei “Tre moschettieri”. Con loro le orchestre di Cinico Angelini e Pippo Barzizza introducono uno swing tutto italiano, fatto di suoni autoctoni e ritmi americani. Grazie anche a questi elementi di novità la musica leggera stava trovando una sua strada via etere, attraverso la radio, prima percorsa pressoché esclusivamente dall’opera e dalla musica classica. La musica leggera era ancora una semisconosciuta quando si cominciarono a pubblicare i programmi radio sul Radiocorriere nel 1925. Era necessario un po’ di tempo per costruire un mercato degli apparecchi, dei dischi e dei giradischi. Ci sono voluti prezzi popolari, la diffusione delle radio nei luoghi pubblici, nei bar, nei ristoranti. Con questi presupposti il numero degli ascoltatori non ha più smesso di aumentare. In questo contesto si è materializzata la voce del Trio Lescano. Oltre che lavorare per EIAR incidevano dischi con la Cetra-Parlophon e cantavano in tournée. Il talento, coniugato con una disciplina ferrea, la supervisione di Eva e l’indispensabile pizzico di fortuna, fecero arrivare il successo, il grande successo.

Il successo

Il vero successo durò meno di un decennio. Interruppero la carriera per circa due anni, eclissandosi, al culmine della Seconda guerra mondiale, quando l’applicazione delle leggi razziali del 1938 raggiunse il massimo della sistematicità e della brutalità (in particolar modo dopo l’8 settembre 1943). Il loro successo dipese notevolmente dalle attenzioni della madre e vacillò per colpa degli uomini, mariti, amanti, manager, che giravano intorno. L’armonia ricevette un bello scossone quando Alessandra s’innamorò di Vincenzo (detto Nino) Gallizio, conosciuto nel 1942 durante la messa in scena della rivista “Sogniamo insieme”, del cui cast facevano parte entrambi.

Gallizio, attore, probabilmente già sposato, rimase legato ad Alessandra per una decina d’anni circa. Al termine della guerra, a poco a poco, prese il posto di Eva de Leeuwe come manager e impresario del trio, gestendo i loro affari e le loro finanze, in maniera non del tutto corretta e trasparente. Nei primi anni della loro carriera furono letteralmente travolte dal successo. Mentre si cantava la canzone “se potessi avere 1000 lire al mese” loro, per ammissione di Alessandra in una successiva intervista, si vantavano di riuscire a guadagnarle in un solo giorno. La loro vita cambiò in modo repentino: una nuova bellissima casa, una macchina ed un lusso sfrenato. Lo swing di Alessandra e sorelle era sulla bocca di tutti e quando si ascoltava il corpo non riusciva a stare fermo.

La produzione artistica

La peculiarità di Alessandra e sorelle stava nel saper eccellere in tutti i generi di canzoni, swingate, allegre, romantiche o esotiche che fossero, e in tutti i ritmi con cui si cimentavano: fox-trot, slow, valzer, tango, rumba. Quando concesso, sfoggiavano persino un notevole estro jazzistico. Anche secondo le intenzioni del maestro Prato erano la risposta italiana alle Boswell ed alle Andrews americane, anche se è difficile abbozzare un confronto. Le Boswell avevano una solida preparazione musicale, essendo valide strumentiste prima ancora che cantanti. Praticamente in ogni loro incisione la pianista era Martha Boswell, e questo anche in presenza di Orchestre di grande fama. Ciò significa che prendevano parte alla scrittura degli arrangiamenti, contrariamente alle nostre sorelle, dotate di uno straordinario talento naturale ma incapaci di saper leggere la musica. Mentre le Lescano eseguivano esclusivamente musica commerciale, salvo rare eccezioni, le Boswell potevano contare su un repertorio decisamente più jazzistico. Quanta valenza jazzistica avessero le Lescano lo sappiamo bene. Con queste premesse ciascuno potrà maturare un giudizio in base alle proprie sensazioni. Le strade percorse dai due gruppi sono state troppo diverse. Entrambi hanno portato nella musica qualcosa di nuovo e di unico. Per questo vanno apprezzate in egual misura. Notevole anche la produzione quantitativa: oltre 200 canzoni portano il nome del Trio Lescano.

L’impatto di Alessandra e del trio sul palinsesto EIAR

La radio ha contribuito alla costruzione del mito Lescano. Attraverso l’etere continuava a dispensare la sua dote di spensieratezza al pubblico che, in ogni caso non vedeva i loro vestiti e non identificava le loro forme. D’altra parte, attraverso le foto ed i filmati, ancora non si riesce a comprendere bene se fossero belle o brutte. Ma questo era secondario. L’EIAR promosse una tournée in tutta Italia. Le Lescano ebbero un successo enorme. Sulla scia degli spettacoli teatrali nel 1940 venne girato il film “Ecco la radio”. Ci restituisce la testimonianza di come la radio fosse cambiata proprio grazie ad Alessandra e le sue sorelle: meno programmi culturali, meno musica classica, più canzonette, più musica da consumare in fretta e, magari, anche da imparare a memoria.

Gli spot pubblicitari erano ormai all’ordine del giorno, anche se non godevano di unanime favore. Ad essi si affiancavano anche i concorsi a premi, non ultimo quello della Perugina nell’ambito della trasmissione dei “Tre moschettieri”. Un confronto tra il palinsesto del 1929 e quello del 1940 confermava ampiamente quanto appena detto: fatto cento il totale dei programmi radio, la musica, che non fosse lirica e concerti sinfonici, passava dal 28% al 34,1%. Insomma, Alessandra e le sue sorelle, cavalcando l’onda musicale che stava investendo il mondo dello spettacolo italiano, hanno contribuito alla diffusione ed all’utilizzo della radio. Al tempo stesso i nuovi mezzi di comunicazione, un’industria discografica scalpitante, un gran bisogno di evasione e la domanda di nuovo derivante da oltre oceano, hanno favorito l’esplosione del trio olandese. Tutto ciò avveniva in un contesto in cui il regime controllava l’EIAR. Successivamente, con l’entrata in guerra, lo stesso regime decise di rafforzare presenza e peso manipolando il consenso anche attraverso gli artisti che lavoravano nell’Ente radiofonico. Alessandra e sorelle non erano preparate a questa evenienza. Conoscevano ad orecchio le loro canzoni, avevano un talento naturale, sapevano muoversi nei palcoscenici dei teatri, ma non in quelli della politica. Si trovarono ad affrontare situazioni per loro inedite e particolarmente difficili da gestire. Ciò provocherà frizioni, se non rottura, con il regime.

I rapporti con il regime

Alessandra aveva una moltitudine di identità: quella olandese in primis. Era ebrea per parte di madre, ungherese per il padre ed italiana acquisita con il canto e le sue relazioni amorose. Si sentiva italiana e le era stato formalmente riconosciuto, ma ciò non l’affrancava dalle “attenzioni” del regime che, riguardo all’applicazione delle leggi razziali non era incline agli sconti.

Per proteggersi le tre sorelle avevano richiesto e ottenuto dal Ministero degli Interni del Regno d’Italia una dichiarazione di non appartenenza alla razza ebraica, con una conseguente proroga di soggiorno (1939), poi la cittadinanza italiana (1942) e infine l’iscrizione al partito fascista (1943). Per loro, in teoria, l’inasprirsi delle leggi razziali non avrebbe dovuto rappresentare un problema. Ma per Eva de Leeuwe, la madre, sì. La donna, di dichiarata religione ebraica, non aveva potuto ottenere lo stesso status delle figlie, e nella primavera del 1942 si trasferì in gran segreto in un paesino del Canavese. All’inizio, le figlie la andavano a trovare di nascosto, ma verso la fine del 1943 anche loro decisero di ritirarsi dalle scene e raggiungerla in attesa di tempi migliori. Le vicende delle tre sorelle e della madre durante i due anni precedenti la fine della Seconda guerra mondiale, sono nebulose e coperte di mistero.

Di quel periodo si sono raccontate e scritte storie al limite della leggenda, come il presunto arresto del trio da parte dei nazi-fascisti nel bel mezzo di un loro spettacolo al Grattacielo di Genova nel 1943, con l’accusa di spionaggio. Secondo alcune fonti sarebbero state portate in carcere dove rimasero dai quindici ai trenta giorni, svolgendo attività di interprete e assistendo anche ad interrogatori molto violenti. Di tutto ciò, tuttavia, non esiste traccia negli archivi del carcere genovese. Da tempo le loro canzoni erano all’attenzione del regime perché avrebbero celato messaggi subliminali. La censura scandagliava parole e sottintesi, alla ricerca di significati nascosti e messaggi da decifrare. Maramao perché sei morto, per esempio, una canzone del 1939 e dedicata a un gatto, verrà ritenuta antiregime con l’accusa di deridere Costanzo Ciano, padre di Galeazzo.

Poco dopo, nel 1940, del Trio Lescano non piacerà la canzone Pippo non lo sa. La censura identificava Pippo con Achille Starace, capo di stato maggiore della milizia, che era solito sfilare mostrando orgogliosamente la sua divisa nera. La diffusione della canzone via radio verrà immediatamente bloccata. La canzone Tulipan avrebbe nascosto messaggi segreti, inviati al nemico americano. Dopo quell’esperienza dell’arresto, reale o irreale che fosse, delle sorelle Lescano non si saprà più nulla per diverso tempo. Se ne perderanno le tracce dopo aver incantato folle di uomini e donne, distraendoli dalle difficoltà del momento con l’invito a danzare sui ritornelli delle loro canzoni. Su Alessandra e sorelle scenderà un velo, proprio come sull’Italia, trafitta e bombardata, divisa e distrutta.

L’espatrio

Dopo la Liberazione il sistema radiofonico era tutto da rimettere in piedi, permeato da una grande voglia di cambiamento. Le Lescano, icone degli anni della guerra, sembravano non aver più nulla da dire agli italiani. La nuova Rai, con sede a Roma, nata dalle macerie dell’Eiar il 26 ottobre 1944, intendeva portare avanti il ritorno della canzone italiana tradizionale, con buona pace dello swing. In questo contesto le tre sorelle pensarono di trasferirsi in Sudamerica e riprendere a cantare. Caterinetta non ne volle sapere e, dopo anche furibonde liti, si staccò dal gruppo. Alessandra e Giuditta individuarono in Maria Bria, giovane cantante che si era già presentata alle audizioni RAI, la possibile sostituta. Con una operazione prossima all’illegale, grazie anche alla complicità della radio che restituiva voce ma non le sembianze, Maria Bria diventò Maria Lescano e, a tutti gli effetti (o quasi), il Trio Lescano si ricompose. In Sudamerica riagganciarono il successo e l’éscamotage si rivelò vincente. Dopo cinque anni di tournée, Maria lasciò le due Lescano, principalmente a causa del manager Gallizio, sebbene la rottura avvenne ufficialmente con Alexandra. L’epilogo non fu dei più edificanti: anche Alessandra ruppe con Gallizio e si ritrovò in Venezuela disoccupata e senza un soldo.

Sul Trio scese un ulteriore, e questa volta definitivo, velo di torpore.

Gli amori di Alessandra

Il primo amore di Alessandra è stata la madre Eva. Forse è stato anche l’ultimo in ordine di tempo. Molto più contraddittorio il rapporto con il padre. Nelle interviste conosciute ne parlava senza trasporto, addirittura mettendo in forse se fosse in vita o meno. Il suo rammarico è di non aver potuto metter su famiglia.

Con gli uomini non è mai stata particolarmente fortunata. Agli esordi era pronta a sposarsi con un imprenditore che fabbricava cerini ma andò tutto a monte. Poi si innamorò di un ufficiale di marina. Cadde in battaglia generando sconforto nella donna. Dopo la guerra si mise insieme a Gallizio, controfigura di Macario e suo manager. Lo seguì ciecamente per i cinque anni di tournée in Sudamerica fino a che le manie dell’uomo non decretarono la fine del ricomposto Trio.

La morte di Gallizio le restituirà la liberta ma non la dignità. Per questa dovrà affidarsi a Guido Franceschi, il suo ultimo marito, un albergatore italo-venezuelano. Il matrimonio, che avvenne a Parma nel 1966, fu preceduto da una lunga convivenza e, non essendo l’uomo ancora vedovo quando Sandra lo conobbe a Caracas, conserva a tutt’oggi contorni poco chiari. Ne scaturisce uno spaccato che mette in risalto alcune debolezze della donna, come l’avidità e una vita sentimentale incline alla sregolatezza. Con Guido e i suoi tre figli riuscirà ad avere un po’ di pace, lontana da quegli stessi riflettori che l’avevano decretata parte di un mito.

Gli ultimi anni

Alessandra ha passato gli ultimi anni della sua vita in malinconica solitudine nel piccolo appartamento di Salsomaggiore Terme che il marito Guido Franceschi le aveva lasciato, aiutata economicamente dai tre figli di lui. Un buon piatto di pasta, l’affetto di pochi cari, vecchi dischi (nessuno del Trio Lescano), fotografie ingiallite e ritagli di giornale. Questo è quanto si poteva trovare nella propria casa che ricordasse il suo passato. Pur nella sua pacata riservatezza, in alcune interviste concesse provava a restituire le grandezze degli anni d’oro, magari esagerando rispetto a quanto documentato. Ma ad Alessandra si può perdonare anche questo.

Rimane agli archivi una breve registrazione della voce di Sandra “al naturale”, tratta da una trasmissione radiofonica di Carlo Loffredo dedicata al Trio Lescano (Toh! Chi si risente, 8 Aprile 1979). Il suo ascolto evoca commozione ma anche una punta di delusione: si sente una vocina un po’ chioccia, per non dire anonima, e anche ciò che Sandra racconta non va al di là dell’ovvio. Stupisce inoltre che, a dispetto dei tanti anni trascorsi nel nostro paese, ed al fatto che conoscesse sei lingue, restituisse dell’italiano una conoscenza così approssimativa.

Alessandra è morta nel 1987. E’ sepolta nel cimitero di Salsomaggiore Terme, accanto alla madre Eva, morta nel 1985 all’età di 93 anni. Sulla sua tomba è stata posta una foto che mette in risalto la dolcezza del suo volto, ma risale ai suoi anni giovanili. Ciò che colpisce di più, tuttavia, è quanto si legge sulla lapide: “Alessandrina Leschan, vedova Franceschi”. Dopo tanti anni di successo, altrettanti di oblio, dopo aver cambiato nome e creato dal nulla una sorella per esigenze di spettacolo, aveva bisogno di autenticità. E’ ritornata al suo vero nome. Dopo essere stata per tutti una grande interprete, e dato alla radio ed allo swing tutta se stessa, se lo è ripreso prima del suo intimo appuntamento con l’eternità.

L’eredità di Alessandra

Di Alessandra artista possiamo affermare che ha avuto sempre nel Trio un ruolo meno definito e incisivo delle sorelle, dotate entrambe di una forte personalità in ambito musicale, e non solo in questo. Ha, però saputo orientare alcune scelte, anche se non tutte si sono rivelate vincenti. E’ stata la più riconoscente verso la madre, forse anche la più fragile. In tutte le occasioni ha saputo coniugare compostezza a sregolatezza, comportamento a necessità. E’ possibile definirla un diamante dalle tante sfaccettature, riuscendo a vivere in modi diversi ma mai rapita al punto di dover fare a meno di se stessa. Sotto il profilo artistico Alessandra, insieme alle due sorelle, diventa figlia di un’idea dell’arte come prodotto da consumare alla svelta, fin quando dura, fino a che se ne possano sfruttare i vantaggi per poi essere gettate e dimenticate.

Eppure loro, in questo sogno e nell’Italia avevano riposto le migliori speranze: Addio mulini a vento non vi vedremo più. Un dì vi abbiam lasciati per questo cielo blu. È un cielo che ci ammalia e che ci fa sognar. Il cielo dell’Italia che sa farci cantar. Addio, Tulipan.