GILDA LA ROCCA: UNA RADIO-PARTIGIANA LEALE E INVISIBILE

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Gilda La Rocca non ha origini nobili e non è stata una donna di spettacolo.

Non ha neanche contribuito direttamente allo sviluppo tecnologico della radio. Tanto meno in modo indiretto. Niente di tutto questo. Ma allora cosa c’entra con la radio? Per quale motivo può essere assurta al rango di “donna della radio”? In un precedente intervento (vedasi articolo -Ecco le donne che hanno influenzato la radio- del 16 giugno scorso) ho scritto che “era la collaboratrice dell’avv. Enrico Bocci, ispiratore della radio clandestina radio CO.RA. di Firenze. Grazie a lei, per un lungo periodo di tempo, la radio poté espletare il suo ruolo, in un contesto tutt’altro che fisiologico. Verosimilmente si era imbattuta in una situazione più grande delle sue aspettative e non sempre aveva piena contezza di ciò che stesse accadendo.”

Gilda ha favorito, in maniera egregia, l’utilizzo della radio per quel nobile fine a cui lo stesso Guglielmo Marconi ha fatto più volte riferimento: comunicare per salvare vite umane. Il valore delle sue gesta acquista ancor più significato pensando al contesto in cui ha svolto la sua opera: durante il periodo di guerra ed in uno stato di pericolosa clandestinità.

Siamo nel primo semestre del 1944, a Firenze, in piena Resistenza. Gruppi di patrioti stanno mantenendo faticosamente i contatti con il comando alleato, tenendo in scacco l’efficientissima macchina informativa e poliziesca nazi-fascista.

La storia di Gilda

La sua non è una storia troppo diversa da altre: una famiglia numerosa dove il problema non era il pensiero politico ma la quadratura dei conti del bilancio familiare.

L’impatto con la vita quotidiana, e il vissuto giovanile, costituiscono gli elementi fondanti della sua coscienza politica, che sfocia in un innato senso di giustizia. Questi valori la accompagneranno sempre, al punto da poter essere considerati compagni fidati anche nei momenti di maggiore smarrimento. Gilda non avrebbe avuto un ruolo da protagonista se non avesse conosciuto l’avvocato Enrico Bocci, figura di riferimento della storia in questione. Era entrata nel suo studio nel 1931, dopo essere stata impiegata in quello del fratello Riccardo in qualità di contabile e corrispondente. Ad un certo punto Riccardo smise il suo commercio e Gilda, per il suo tramite, passò nello studio di Enrico. Accettò di buon grado anche perché il lavoro era completamente diverso dal precedente e molto più gratificante. Si era anche affiatata con gli altri componenti la famiglia dell’avvocato: la madre Bice, il padre Decio e la sorella Ada, di primo acchito scontrosa ma, alla lunga, gentile e gradevole. La ragazza si sentiva bene nel suo nuovo ambiente, specie nella famiglia Bocci, composta da persone colte, intelligenti, oneste e pulite, quasi un’isola felice considerato quello che, in quel periodo, stava imperversando in Italia. Custodiva, gelosamente e degnamente, un’avversione per qualsiasi forma di violenza, sentimento alimentato anche da quanto ricordava della prima guerra mondiale. A quel tempo aveva appena sei – sette anni, il padre era comandante dei carabinieri della stazione di Pescia e, durante un tafferuglio, aveva arrestato e messo in guardina uno scalmanato. Gilda abitava sopra la caserma. Mentre il padre era andato in ricognizione per verificare lo stato delle cose, un gruppo di facinorosi si avvicinò alla caserma lanciando sassi affinché venisse liberato l’arrestato. In caserma era presente solo il piantone che, terrorizzato, andò nell’appartamento al primo piano dove c’era la famiglia La Rocca. Gilda ricordava molto bene quei momenti di terrore, fino a quando non ritornò la pattuglia con il padre che sistemò tutto.

L’altro brutto ricordo era di Napoli. A cavallo tra il 1917 e il 1918 il padre vi era stato trasferito dopo la promozione a tenente. Dopo una notte di bombardamenti la mamma di Gilda faceva dormire i figli vestiti, sul letto senza scarpe, per essere pronti alla fuga in caso di pericolo imminente.

Finalmente la guerra finì e lei, in cuor suo, pensava che tutto potesse tornare come prima ma, evidentemente, si sbagliava. Intanto nel 1919 il padre ebbe un forte esaurimento che lo costrinse a dimettersi dall’arma dei carabinieri. Andarono a vivere a Pontassieve, in Toscana, dal nonno materno in attesa che il padre potesse trovare un lavoro consono al suo stato di salute.

Gilda non si ritrovava in quel mondo fatto di violenza, soprusi e paure. Quando faceva domande su questi argomenti gli rispondevano che doveva pensare a studiare e che non erano cose da ragazzi. Ma questo altro non faceva che alimentare il suo distacco verso il regime che stava imperversando.

Intanto il padre aveva trovato un lavoro come economo in una piccola banca fiorentina e faceva il pendolare. Con l’occasione Gilda, dopo le elementari, frequentava una scuola complementare. Prese il diploma di computista, gli mancavano due anni per quello di ragioneria. La formazione scolastica fu provvidenziale per il suo futuro. La sua famiglia, padre, madre e gli altri sette fratelli, fu teatro di varie vicende che avevano come matrice comune il disagio di aderire al nuovo regime. A ciò si aggiunga che la malattia del padre finì per scaricare sulla madre il peso della famiglia. Finalmente Gilda trovò lavoro ed ebbe la possibilità di contribuire economicamente.

Il suo rapporto con radio CO.RA.

Gilda era un’impiegata modello che aveva sempre manifestato la sua avversione al regime totalitario del tempo. Questo l’avvocato Bocci, suo datore di lavoro, ma anche attivista contro il regime, lo sapeva bene. Sapeva anche che la ragazza avrebbe potuto essere particolarmente utile nella sua organizzazione.

Ma come fidarsi? Come poteva coinvolgerla senza rischiare di comprometterla oltre il dovuto o, peggio ancora, di mettere in difficoltà l’organizzazione?

La riserva, molto probabilmente, si sciolse quando Gilda rifiutò il premio in denaro chiamato “28 ottobre”, istituito dal duce per celebrare l’anniversario della marcia su Roma, che i datori di lavoro dovevano corrispondere ai dipendenti. Gilda non voleva un premio di regime. Si arrivò ad un compromesso: li avrebbe ricevuti a Pasqua quale simbolico uovo.

Da quel momento si rese disponibile per svolgere qualche incarico non propriamente “legale” per quel periodo. Nella maggior parte dei casi si trattava di consegnare lettere, documenti di vario genere a sconosciuti o, parimenti, riceverle. Si sentiva fiera per quanto stava facendo, anche se il cuore andava a mille non avendo piena contezza delle mansioni svolte.

Gilda aveva, ormai, le caratteristiche per entrare a far parte del gruppo RADIO CO.RA..

Cos’era Radio CO.RA.

Ma cos’è Radio CO.RA.? E’ l’acronimo di COmmissione RAdio, una radio clandestina fiorentina, attiva dal gennaio del 1944 fino al successivo 7 giugno, il cui scopo era il collegamento e passaggio delle informazioni alle forze alleate di stanza a Bari. L’avvocato Bocci ne era l’ispiratore e colui che, insieme ad altri fidatissimi, ne assicurava la funzionalità.

Dopo la prima trasmissione di prova, in via de’ Pucci, Radio CO.RA. continuò a trasmettere ininterrottamente per cinque mesi da luoghi diversi per evitare di essere intercettata e scoperta.

Era senza dimora fissa, trasmetteva messaggi in codice con poche regole ma essenziali per la sua sopravvivenza, la più importante delle quali: non dover trasmettere dallo stesso posto più di due volte al giorno. Era la contromossa vitale per sfuggire alla localizzazione da parte dei nazifascisti e al loro bombarda-mento, che pure lambì, risparmiandola, Radio CO.RA..

Questo fu Radio CO.RA.: Un’intui-zione salvifica, più che una vera e propria radio, che per cinque mesi – dal gennaio al giugno del 1944 – tenne i contatti con il Comando anglo – americano dell’VIII Armata grazie alla passione ed allo spirito civile dei suoi sostenitori. Un inedito nella storia della Resistenza italiana, un’operazione di “intelligence” nel ventre squartato di una (non) nazione allo sbando, che servì agli alleati affinché potessero, dall’alto dei loro aerei, non solo lanciare armi e cibo ai partigiani in montagna, ma soprattutto sferrare attacchi alle truppe tedesche.

Le informazioni criptate, che giornalmente provenivano dalla CO.RA., indicavano l’esatta ubicazione degli obiettivi militari. Ciò ha evitato stragi di civili. Inoltre, le “dirette” della radio fornirono preziose informazioni per favorire una veloce conquista alleata dei territori invasi del nord Italia. Possiamo affermare che radio CO.RA., fatte le debite proporzioni, svolse il compito che in Inghilterra, più o meno contemporaneamente, fu di Enigma, la famosa macchina decriptatrice. 

Gilda era parte integrante del progetto. Aveva il compito di decifrare i messaggi utilizzando i relativi codici e, non ultimo, di trasportare fisicamente la radio da un punto di trasmissione all’altro. Altri dovevano sistemare l’antenna, procurare l’energia elettrica. Il radio-telegrafista porta-va sempre con sé i quarzi necessari al funziona-mento della radio (per la loro importanza potremmo paragonarli alla sim dei nostri smartphone). Il tutto con una precisione e tempistica maniacale, considerando l’importanza delle informazioni che si dovevano trasmettere.

Un curioso aneddoto

Gilda era uso trasportare la radio all’interno di un borsone della spesa sopra il quale metteva qualche ortaggio per confondere le idee. Alcuni pezzi staccati venivano nascosti anche negli indumenti intimi. La sua andatura doveva essere ben coordinata, considerando che il peso della radio era di gran lunga superiore al peso teorico di qualsiasi borsa con della spesa dentro. Ma ormai ci aveva fatto l’abitudine. Il rischio di poter essere catturata era sempre dietro l’angolo e non poche volte si è trovata in situazioni difficili, superate da un buon combinato tra provvidenza e prontezza d’animo. Tra i tanti era uso raccontare un curioso aneddoto che, probabilmente, gli era rimasto più impresso. Una domenica mattina era andata a portare la radio a Corbignano. La trasmissione era avvenuta nel primo pomeriggio e doveva riportare indietro l’apparecchio. Appena mangiato l’aveva riposta nella solita borsa scozzese e si stava avviando verso la discesa che porta al Ponte a Mensola per prendere il filobus. Poco dopo che era salita cominciarono ad urlare le sirene che preannunciavano possibili bombardamenti inglesi. Tutti vennero fatti scendere dal mezzo. Le sirene non cessavano lasciando presagire che non sarebbe ripartito a breve. Gilda decise di avviarsi a piedi, fare qualche chilometro con la borsa al seguito, per essere sicura di non perdere l’appuntamento per la prossima trasmissione.

Durante il tragitto fu raggiunta da un repubblichino, anche lui sceso dal filobus che, molto galantemente, si offrì di portargli la borsa. Provò a rifiutare ma, visto che l’uomo insisteva, non ritenne opportuno proseguire oltre. Gli cedette solo un manico. Continuò a tenere in mano l’altro, mantenendolo sempre più alto per scaricare su di lei il peso non fisiologico della borsa. Il giovane si accorse, comunque, dell’insolito peso ma si sentì prontamente rispondere che di quei tempi la donna preferiva portarsi dietro le sue cose più preziose anche quando andava a fare la spesa. Per fortuna la spiegazione gli bastò e in piazza Beccaria si divisero. L’aveva scampata proprio bella!

L’epilogo

Il 7 giugno 1944 i nazisti individuarono la ricetrasmittente in piazza d’Azeglio. Il giovane radiotelegrafista, sorpreso alla radio, ebbe la prontezza di sottrarre una pistola ad un soldato tedesco e di ferirlo a morte. Poi, a sua volta, venne colpito e morì due giorni più tardi in ospedale. In quell’occasione vennero arrestati Enrico Bocci e quattro dei suoi collaboratori.

Nelle ore successive fu arrestata anche Gilda La Rocca. L’avvocato Bocci fu fucilato dopo giorni di tortura. Il suo corpo non è mai stato ritrovato. Tutti gli altri, prima di essere inviati nei lager, furono torturati a Villa Triste. Gilda, spezzata dalle torture e dai patimenti, tentò due volte il suicidio senza riuscire nell’intento. Riuscì però a scappare prima dell’arrivo in Germania e a mettersi in salvo.

Concludendo

Gilda, dopo 40 anni, raccontò la sua storia, e quella di radio CO.RA., in una pubblicazione “La radio CO.RA. di piazza d’Azeglio e le altre due stazioni radio” ed. Giuntina. Nel 2004 ne venne stampata una seconda edizione in occasione del sessantesimo anniversario della Liberazione. La pubblicazione rende onore ai nostri silenti eroi e costituisce la preziosa e fedele testimonianza di un periodo troppo spesso osservato da latitudini visive differenti.

Secondo la Corte d’Appello di Bologna “… il comportamento di questa donna (Gilda La Rocca -ndr) nel corso della sua dolorosa vicenda è stato veramente meritevole della più incondizionata ammirazione e la misura della sua obbiettività è rivelata dalle sue stesse dichiarazioni…”.

Questa è Gilda La Rocca, una donna con una significativa maturazione politica che è esemplare dei percorsi del tutto personali compiuti da tanti giovani nel lungo viaggio verso la libertà e la democrazia. Il suo innato senso di giustizia, forgiato nella sofferenza familiare, e costantemente alimentato dai suoi ideali, diventa il metro di giudizio della realtà.

Con il suo operato ha assicurato alla radio la sua funzionalità di strumento di pace e di benessere per l’umanità a sprezzo della sua stessa vita.