LA PRIMA DONNA DELLO STAR SYSTEM RADIOFONICO

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Nei primi anni ’20 l’intrattenimento musicale casalingo poteva contare esclusivamente sulla diretta (canto, strumenti musicali) e sulle macchine parlanti (grammofono, fonografo e telefono).

La radio, di fatto, ancora non esisteva, considerato che la prima trasmissione fu realizzata il 6 ottobre del 1924.

Da questa data in poi, pur passando attraverso innumerevoli difficoltà, ebbe il suo sviluppo con differenti velocità tra i suoi elementi fondanti: i palinsesti faticavano a confrontarsi con i competitori degli altri Paesi, la tecnologia andava comunque avanti, la diffusione sociale doveva fare i conti con un Paese lacerato dai postumi della Grande Guerra.

Questo Bailamme non escludeva la progressiva formazione di uno star system radiofonico. L’abbrivio tra le stelle è stato dato da Maria Luisa Boncompagni, proprio come il corpo celeste Venere (Nomen omen?) nel firmamento, la sera quando inizia a fare buio. A lei, come a Venere, spetta la primogenitura.

Ma chi era Maria Luisa? Era nata il 7 dicembre 1892 a Roma. Un giorno, nel 1914, lesse un annuncio pubblicato da Il Messaggero con cui si cercava una “signorina buona dicitrice“ nell’azienda di telefonia circolare di Luigi Ranieri. Quest’ultima era una vera e propria redazione che, per il tramite del telefono, raggiungeva gli abbonati proponendo notizie, musica, teatro ed altri intrattenimenti.

Può essere considerato l’antenato della radio, tanto da meritarsi l’appellativo di “radio con il filo”. Maria Luisa si propose per quell’incarico, superò l’esame e fu assunta dall’Araldo Telefonico (questo era il nome dell’azienda di Ranieri). Vi collaborò come scritturale, sia a mano che a macchina. Fu lettrice, dicitrice con il compito anche di preparare il disco di ogni trasmissione, annunciarlo, avviarlo e preparare il successivo. Maria Luisa, nel suo ruolo di anchor woman, divenne talmente familiare da essere soprannominata anche “Signorina Notizie Stefani” (Stefani era la più importante agenzia di stampa dell’epoca).

La struttura complessa del palinsesto non deve, comunque, trarre in inganno. Come raccontato dalla stessa annunciatrice in successive interviste i mezzi finanziari erano scarsi e molto spesso le trasmissioni venivano realizzate con mezzi di fortuna.

Le cronache parlamentari, ad esempio, pervenivano alla redazione su dei bigliettini scritti a mano e qualche volta ci si doveva arrampicare sugli specchi per interpretarli e restituirli agli ascoltatori con un senso compiuto. Altro esempio: per fornire il segnale orario non si utilizzava, come sarebbe stato ovvio, un collegamento con il Reale Osservatorio ma si aspettava il colpo di cannone del Gianicolo.

La nostra prima “signorina buonasera” sarebbe diventata ancora più celebre nel 1924 per essere stata l’annunciatrice esordiente della prima società concessionaria dei servizi radiofonici italiani, l’URI (mamma dell’EIAR e nonna della RAI).

Sono passati quasi 100 anni ma quelle poche battute, lanciate nell’etere il 6 ottobre del 1924, riescono a generare ancora emozione nei cuori degli appassionati:

“URI (Unione Radiofonica Italiana). 1-RO: stazione di Roma. Lunghezza d’onda metri 425. A tutti coloro che sono in ascolto il nostro saluto e il nostro buonasera. Sono le ore 21 del 6 ottobre 1924. Trasmettiamo il concerto di inaugurazione della prima stazione radiofonica italiana, per il servizio delle radio audizioni circolari, il quartetto composto da Ines Viviani Donarelli, Alberto Magalotti, Amedeo Fortunati e Alessandro Cicognani, eseguirà Haydn dal quartetto “Opera 7″, I e II tempo”. In un prossimo contributo cercheremo di sciogliere un velo di mistero nato intorno al presente comunicato.

I programmi di quella prima serata radiofonica durarono solo un’ora e mezza: la prima ora e mezza di una storia lunga quasi cento anni e giunta fino a noi con il profumo del pionierismo e della voglia di vincere una sfida, pur coscienti di non avere tutti gli strumenti ancora a disposizione.

Era stato fatto un importantissimo passo in avanti verso la strada della comunicazione. L’impronta di Maria Luisa non è seconda neanche a quella lasciata da Armstrong sulla Luna. Tutti i media odierni sono figli di quell’esperienza.

La sua voce era cristallina ma pacata e fortemente rassicurante. Chiudendo gli occhi la si poteva immaginare come la donna dei nostri sogni, non importava come fosse veramente. In ogni caso la sua fisionomia si rivelò neanche un anno dopo, esattamente a giugno del 1925, apparendo nella copertina della rivista Radiorario (antenato del Radiocorriere) numero 24. Ma, a ben vedere, le persone possibilitate ad acquistare la rivista non erano poi così tante.

Tra le trasmissioni radiofoniche a cui partecipò va annoverata “Partita a scacchi” di G. Giacosa. Intanto crebbe la sua fama tanto da essere soprannominata “Zia Radio” e “l’Usignolo della Radio”.

Lei, “madre” di una generazione di fini dicitori, svolse varie attività di factotum per la nascente URI: annunciatrice, impiegata, dattilografa, presentatrice e anche altro, come nel 1984 raccontò lei stessa in una intervista, ancora oggi disponibile con tutte le sue fragranti sfumature.

Se ne riporta il testo integrale:

“Effettivamente sono la voce più antica della radio. Posso dire la più antica senza offendermi: annunciatrice ma anche impiegata, dattilografa, presentatrice e qualche volta donna delle pulizie del mio studio. Credo di essere stata anche la prima radiocronista. Infatti, alle 17,30, mentre conducevo un programma per i bambini, mi chiamavo allora Zia Radio e Nonno Radio era il professor Cesare Ferri, passava sotto gli studi di via Maria Cristina la famosa Reale con la banda in testa, il cambio della guardia al Quirinale insomma. Il nostro non era un vero studio, un vero auditorio come quelli di adesso, e dalle finestre giungeva il rumore della città della strada. Figuratevi un po’ la banda! Allora cosa feci? Trasportai fino alla finestra il cavalletto che sorreggeva il microfono e allora dissi: volete sentire di che cosa è capace la radio? Spalancai le finestre e descrissi i soldati e la banda che passava sotto di noi”.

Non dirò quando Maria Luisa ci ha lasciati perché, in fondo in fondo, forse non ci ha lasciato mai veramente. Dopo aver terminato la sua esperienza in radio fu intervistata varie volte e, con la sua grazia e lucidità, si è sempre resa disponibile a raccontare le sue esperienze, parlando di palinsesto, non trascurando simpatici aneddoti.

Concludo con un racconto curioso ed emozionante, riportato dal giornalista Riccardo Morbelli e pubblicato sul Radiocorriere del dicembre 1961, all’interno di una rubrica sviluppata in sei puntate intitolata: La Radio degli anni verdi.

Il fatto avvenne nell’aprile del 1943. La signora Boncompagni si trovava in treno e scambiava quattro chiacchiere coi compagni di viaggio, quando a un tratto ecco apparire nello scompartimento un giovane ufficiale di fanteria. Entrò di scatto, poi si fermò, come colto da un moto di timidezza. Infine, preso il coraggio a due mani, disse: -scusi signora, ma lei … lei è Zia Radio, è vero?-

“Ero Zia Radio- rispose la Boncompagni -ma in una trasmissione di tanti anni fa”.

Allora non mi sono sbagliato.- Replicò il giovane ufficiale -Quella voce …. La sua voce! Se sapesse da quanto tempo me la porto in cuore. Perché io sono un suo vecchio nipotino, uno di quelli che seguivano la trasmissione di allora. Un giorno le scrissi una cartolina, chiedendole di fare il mio nome per radio. Non solo lei disse: “Luigino, sei in ascolto?”, ma mi inviò anche un bacio. Sapesse il bene che mi ha fatto! Io, a dieci anni, non avevo più la mamma, e sentirmi chiamare con tanto affetto mi riempì di gioia. Ed ora sembra quasi un destino: parto per la guerra ed incontro lei, Zia Radio …….-.

A questo ricordo la buona signora si commosse.

-Luigino! …. Uno dei miei nipotini- pensò.

Me lo vedevo lì dinanzi agli occhi, alto e ben piantato. Ricacciai in gola le lacrime e, col mio più bel sorriso, lo abbracciai dicendogli:

-Allora, Luigino, quel bacio che ti mandai per radio ora te lo do di persona-.

Ci salutammo così. Il treno frattanto si era fermato. Luigino scese. Da allora non ne ho saputo più nulla.