LE RADIO TASSE

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Pubblicato da  Arteventi news il  24 Novembre 2019 

Dopo le prime trasmissioni dell’ottobre del 1924, la radio ha avuto un lento sviluppo. Le motivazioni sono molteplici e non escludono il costo del canone. Il suo pagamento non era nelle corde dei radio ascoltatori che, da tempo, fruivano delle stazioni straniere senza alcun onere. Alcune Nazioni europee trasmettevano dagli inizi degli anni ’20.

Dal numero 3 del 1925 la rivista RADIORARIO, progenitrice dell’odierno RADIOCORRIERE, pubblicizzava l’abbonamento URI (nonna della RAI) con un’articolazione di offerte che, dall’ordinario annuale si spingeva fino al quinquennale. Si passava da 90 lire per un anno ad un estremo 350 per cinque (170, 240, 300 per due, tre e quattro anni). I risparmi sarebbero stati notevoli al punto da spingere per la soluzione penta-annuale. Ma 90 lire erano poche o tante? Ad oggi sarebbero circa 75 euro e confrontato con l’attuale canone RAI (90) non fa molta impressione. Se, però, si tiene conto dell’offerta odierna (radio e TV, numero di canali, rai teche, etc..) si assiste ad una prima sperequazione: il costo del 1925 era di gran lunga maggiore all’odierno.

Ma è dal confronto con il costo della vita che emerge la abissale differenza. Ipotizzando gli stipendi medi del tempo e di oggi (rispettivamente 225 lire e 2000 euro) emerge che il canone annuo nel 1925 era pari al 40% contro il 4,5% attuale. Riportando il tutto ad oggi: saremmo disposti a pagare 810 euro l’anno (40% dello stipendio medio) per ascoltare solo un canale radio i cui programmi iniziano alle 17,15 per finire alle 22,30? La risposta sembra scontata come lo era già allora e anche per questi motivi la radio pirateria ha potuto avere un facile attecchimento.