MARIA CRISTINA BEZZI SCALI, LA MOGLIE DI UN MITO

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La Marchesa Maria Cristina Bezzi-Scali  (Roma2 aprile 1900 – Roma15 luglio 1994)  è stata la seconda moglie di  Guglielmo Marconi e madre di Elettra.

La sua famiglia apparteneva alla cosiddetta “nobiltà nera” che, dopo il 1870, era rimasta fedele al papa non riconoscendo il nuovo stato delle cose dopo la presa di Roma. Per questi motivi era tradizionalmente molto influente in ambienti vaticani.

Nel 1925 Guglielmo Marconi, pur essendo ai vertici della popolarità, dopo aver firmato vantaggiosi contratti con diversi Paesi interessati a perfezionare le radio trasmissioni, dopo aver ricevuto medaglie d’oro e riconoscimenti in tutto il mondo, era un uomo solo, con un matrimonio fallito alle spalle, pieno di tormenti religiosi e con le radici cattoliche paterne che emergevano prepotentemente, nonostante la madre irlandese l’avesse orientato verso il credo protestante.

Maria Cristina aveva conosciuto Guglielmo, già ultracinquantenne, nella villa dei marchesi Sacchetti, una nobile famiglia romana. La mamma di Maria Cristina era una Sacchetti ed il padre membro della guardia nobile del papa.

Ogni estate il grande panfilo di Guglielmo, l’Elettra, ormeggiava davanti a Viareggio. Appena fermo, era preso d’assalto da pattini e piccole imbarcazioni cariche di persone che volevano omaggiare il grande Marconi, mentre a volte era lui, elegantissimo, che scendeva a terra e andava a sedersi al Caffè Savoia in Passeggiata.

Maria Cristina andava a villeggiare in Versilia con la famiglia da quando aveva due anni. Una sera, come accadeva non raramente, Guglielmo dava una festa sul suo panfilo e la ragazza era stata invitata da amici comuni. Salì la scaletta: giovanissima, bionda, bellissima, vestita di rosso.

Era una ragazza seria, tranquilla, con dei bellissimi occhi azzurri, l’esattamente opposto delle donne allegre e sofisticate alle quali Guglielmo dedicava all’epoca le sue attenzioni. Probabilmente fu proprio la semplicità dei modi ad attrarlo.

Lui la vide e fu un colpo di fulmine. Col suo innegabile fascino sapeva accendere i cuori femminili. Lei con la sua naturale bellezza, e la trasparente serenità, irradiava intorno a se’ calore e sicurezza. Non si separarono più e, forse, memori di quel momento magico, tornarono sempre in Versilia per le vacanze. Come noto Guglielmo Marconi, premio Nobel nel 1909, fortunato imprenditore industriale, senatore, presidente dell’Accademia d’Italia, era uno scienziato a livello internazionale. Era stato sposato, anche con rito cattolico, con l’irlandese Beatrice O’Brien. I coniugi Marconi avevano divorziato il 12 febbraio 1924 nella città libera di Fiume. Guglielmo e Maria Cristina si sposarono con il rito civile in Campidoglio, il 12 giugno 1927, e tre giorni dopo con quello religioso in Santa Maria degli Angeli a Roma.

Pur essendo possibile un matrimonio civile, ci fu il fermo divieto da parte della famiglia di lei, profondamente cattolica.

Guglielmo, nel frattempo, aveva deciso di riprendere le sue abitudini religiose, la lettura del vangelo e di ispirarsi decisamente ai principi del cattolicesimo. Il Papa stesso se ne compiacque al punto da esprimergli il suo pensiero: “il vostro stesso lavoro vi avvicina a Dio. Ogni lavoro è nobile, ma il vostro lavoro, svolto nell’intento di utilizzare i più misteriosi segreti della natura a beneficio dell’umanità, è più nobile di ogni altro. Il vostro lavoro è quello che si avvicina di più all’opera divina nell’impiego delle forze dalla santa Provvidenza”.

In un’Italia in cui i riconoscimenti di nullità matrimoniale da parte della Sacra Rota erano fatti veramente eccezionali, Marconi riuscì ad ottenere la sentenza duplice conforme. Vari furono i commenti. Chi la trovò frutto di indebite pressioni mise in rilievo non solo la notorietà dello sposo, ma anche l’influenza della famiglia della futura nuova sposa. In ogni caso il matrimonio religioso della marchesina Maria Cristina Bezzi-Scali ebbe una risonanza nazionale, con riflessi anche a livello internazionale.

Al termine del rito religioso Cristina e Guglielmo partirono in automobile alla volta di Rieti dove il principe Potenziani, governatore di Roma, aveva messo loro a disposizione la sua magnifica villa di San Mauro. Dopo pochi giorni di serenità Cristina accompagnò Guglielmo a New York, imbarcandosi sul piroscafo Biancamano a Genova. Al ritorno Guglielmo accusò dolori al petto. Gli attacchi continuarono anche dopo l’arrivo a Londra e gli venne diagnosticato un caso grave di angina pectoris.

Cristina lo fece portare in una casa di cura dove rimase alcuni giorni e ne uscì apparentemente ristabilito. Per la donna iniziò un periodo particolarmente complicato, con la costante apprensione per la salute del marito.

I due coniugi acquistarono successivamente palazzo Borgognoni in piazza di Spagna.

Particolarmente intensa l’intervista concessa al Resto del Carlino nel 1994 dalla ormai vedova Maria Cristina:

“Sono passati tanti anni, ma quando parlo di mio marito sento ancora gli occhi che si riempiono di lacrime. …… Non ho più voluto risposarmi: potevo farlo, avevo 37 anni quando Guglielmo morì, proprio qui, in questa casa. Ma non ho voluto. Ho scelto di stargli vicina spiritualmente, com’eravamo stati vicini e insieme per i dieci anni (dal 1927 al 1927 ndr) più felici della mia vita. Quando lo conobbi a Viareggio sentii che cercava una famiglia e potevo offrirgliela. Compresi inoltre che era sempre stato cattolico, come il padre Giuseppe, che rimase a Pontecchio anche quando Guglielmo e la madre stavano più a Londra che a Bologna. Mi raccontava del passato, delle sue emozioni, mi raccontava del futuro e delle sue speranze”.

Maria Cristina sembrava essere la donna ideale: giovane, piena di energie, poteva affrontare il mare senza timori, accettò il panfilo “Elettra” come casa navigante, venendo incontro anche alle aspettative del suo sposo che, nella precedente esperienza matrimoniale, non aveva potuto idealizzare. Sempre nel panfilo ospitò il re e Mussolini, tenendo salotto come una nobile patrizia sa fare. Appariva incantata dalla posizione del marito. Sotto la sua energica influenza quell’uomo, schivo e riservato, era diventato quasi simpatico agli occhi dei più. Ora accettava gli onori che un tempo lo avrebbero imbarazzato. Le manifestazioni esteriori della sua fama divennero, in questo periodo, quasi pane quotidiano. E tutto questo era accaduto grazie a lei ed al suo trascinamento. Inaugurava esposizioni, tagliava nastri, appariva in pubblico, preannunciava visite ufficiali. Ovunque andasse non aveva difficoltà a sottoporsi alle stressanti sedute dei fotografi che lo osannavano. E Cristina sempre lì, vicina al marito, radiosa come sempre.

Quando rimase incinta, tre anni dopo, accettò di buon grado di far nascere il bimbo proprio sull’Elettra. Purtroppo, a poco tempo dal parto, Guglielmo presagì l’arrivo di una burrasca e, all’ultimo momento, si decise di tornare a terra, a Civitavecchia. Il principe Odescalchi, amico di famiglia, aveva messo a disposizione la sua villa. Vi nacque una bella bambina e fu chiamata Elettra, in omaggio al panfilo dell’inventore.

Venne battezzata a Civitavecchia, il 30 giugno del 1930, da S. Em. il cardinale Pacelli Segretario di Stato, che a breve sarebbe diventato Papa Pio XII. Era molto amico della famiglia di Maria Cristina. Come madrina ebbe la regina d’Italia, Elena, rappresentata dalla Duchessa di Laurenziana.

Nel 1933 Maria Cristina e Guglielmo fecero il giro del mondo. Li colse un allegro spirito vacanziero e, dopo una breve visita alle cascate del Niagara, giunsero a Washington, ospiti alla Casa Bianca del presidente Roosevelt, che offrì loro un treno privato per attraversare il Paese. Quando arrivarono a Hollywood sembravano dei divi. Incontrarono, tra gli altri, Charlie Chaplin che, notoriamente, non era un amante della radio. Maria Cristina incantò con la sua bellezza il produttore che fondò la Metro Goldwyn Mayer e si vide pervenire una proposta per un film. Ma Guglielmo era gelosissimo e la cosa non andò in porto. Erano un tutt’uno, non si separavano mai. A San Francisco si imbarcarono per il Giappone.

Cristina era innamorata del mare quanto Guglielmo. Ne era sempre stata affascinata. Sul mare ogni pensiero spariva, era come se si navigasse ai confini dell’infinito. Quella immensa distesa aveva anche il pregio di annullare la differenza di età tra i due che, in modo inesorabile, appariva ogni volta che vi si focalizzava l’attenzione.

Giunti in patria Cristina e Guglielmo si unirono alla piccola Elettra e tornarono nell’appartamento in via dei Condotti, nel palazzo dei Bezzi Scali.

Nei viaggi meno impegnativi partecipava anche Elettra, cresciuta in questo clima di amore reciproco. Per lei era tutto un gioco, dalla perfetta rotazione del timone al dondolio del panfilo per le onde. Cristina sfumava amorevolmente i pensieri quando vedeva Guglielmo prenderla tra le braccia e, davanti agli strumenti di navigazione, prodigarsi nel raccontarle e spiegarle di tutto. Sembrava come preso dall’ansia di doverle trasmettere quante più informazioni possibili, accelerando quel rapporto padre – figlia che, forse, sapeva non potesse durare troppo a lungo. Cristina al balenare di questi pensieri si ridestava e pensava ad altro.

Era curiosa, aveva piacere di essere al corrente dei vari esperimenti che Guglielmo stava sviluppando.

Nel 1933, quando il marito fece le prime prove di navigazione cieca, col raggio che ritornava indietro quando colpiva un ostacolo, lei lo aiutò a coprire con lenzuoli ogni finestrino del ponte di comando per avere la non visibilità esterna assoluta simulando, di fatto, la notte o una giornata di nebbia fitta. Si navigò entrando nel porto di Sestri Levante senza vedere nulla di fuori e senza andare a sbattere. In pratica era il radar, che Guglielmo aveva già annunciato undici anni prima in America.

Anche gli ultimi anni della sua vita sono legati all’Elettra e a Viareggio. Guglielmo continuava a soffrire purtroppo di crisi cardiache che, dal 1933 in poi, si erano intensificate. Nel 1936 i medici gli impedirono di compiere lunghi viaggi, suggerendogli di fermarsi a Roma, per spostarsi solo in luoghi facilmente raggiungibili. Così, all’inizio dell’estate del 1937, decise che sarebbe venuto a Viareggio, all’Hotel Astor, con l’Elettra ormeggiata davanti all’albergo, in modo da poterla raggiungere facilmente. La figlia era già a Viareggio con la nonna, e la mattina del 19 luglio Marconi accompagnò la moglie alla stazione di Roma a prendere il treno per Viareggio. Il 20 sarebbe stato il compleanno della piccola Elettra, ma aveva ancora delle cose da sbrigare nella capitale, e si sarebbe messo in viaggio il 21. Guglielmo, però, non arrivò mai a Viareggio: nel pomeriggio dello stesso giorno si sentì male. Sembrava una delle tante crisi cardiache, non più grave delle altre. I medici arrivarono subito, ma alle 3.45 antimeridiane del 20 luglio del 1937 Marconi morì.

Particolarmente struggenti sono le parole di Cristina che, a distanza di anni, commentava l’evento con grande lucidità (dal quotidiano Il Resto del Carlino, Domenica 24 aprile 1994):

“Era il 19 luglio, faceva caldo, decidemmo di andare a Forte dei Marmi, dove Elettra ci attendeva per festeggiare insieme il suo settimo compleanno. Mio marito doveva andare al Senato, ma rinunciò perché non si sentiva bene. Mi convinse a partire da sola, era la prima volta che viaggiavo da sola. Prenotò uno scompartimento, mi accompagnò sul treno, voleva constatare che fossi a posto, tranquilla. Mi baciò e mi disse sottovoce – Ci vedremo domani, io arrivo domani…-. Il viaggio fu lungo, interminabile. Non ero tranquilla, feci in tempo a scendere dal treno e mi raggiunse una telefonata di mio padre. Ripartii quasi subito, ma arrivai a Roma il mattino dopo alle sette: quando vidi mio padre e il prefetto di Roma in stazione, compresi che non avrei più rivisto mio marito”.

I funerali a Roma furono grandiosi, con delegazioni da tutto il mondo, ma il tributo più impressionante fu quello resogli dall’Impero Britannico, che impose in tutti i suoi territori l’assoluto silenzio radio per alcuni minuti: nessun messaggio venne trasmesso né ricevuto, le stazioni della BBC interruppero le trasmissioni.

Cristina mantenne sempre un atteggiamento distaccato riguardo alle polemiche che, soprattutto dal dopoguerra, si svilupparono sulla figura di suo marito, rotto solo dall’uscita di una biografia, “Mio marito Guglielmo” ed. Rizzoli, nella quale racconta il suo punto di vista in merito.

Nel 1947 fu presente ai festeggiamenti dei 105 anni di Antonio Marchi, il fedele garzone di Marconi, colui che assistette al primo esperimento dietro la collina dei Celestini. Era con la figlia Elettra e il figliastro Giulio.

Passò il resto della vita da sola, nel ricordo del suo amato Guglielmo senza risposarsi più.

La marchesa Maria Cristina Marconi, come già accennato, concesse un’intervista nel 1994 a distanza di quasi settant’anni dal suo matrimonio e a cinquantasette dalla morte di Guglielmo. Con una voce profonda e misurata, ha voluto ricordare i bei momenti passati insieme, ben delineando l’immagine di lui che emergeva prepotentemente dal passato. Si è commossa dignitosamente quando il ricordo si faceva più struggente. Se ne riporta uno stralcio:

 “. . . Devo dire che sui tanti libri scritti su Marconi non ne esiste uno solo che spieghi come, e perché, mio marito nel 1895 inventò la radio ….. Non si occupò mai degli altri scienziati, pensava soltanto ai propri studi e alle sue esperienze. Mi raccontò di come restò profondamente deluso dopo un incontro che ebbe con Righi nell’estate del 1895, quando lo andò a trovare in una villa vicina a Pontecchio per parlare delle sue esperienze ….. Quando mio marito morì, Righi mi scrisse una lunga lettera di cordoglio da cui traspariva, forse, il rimpianto di non aver compreso subito ciò che aveva fatto di così grande Marconi in quella sua giovane età: aveva solo ventun anni!”.

Tre mesi dopo l’intervista la Marchesa Maria Cristina Bezzi Scali, vedova Marconi, venne a mancare portandosi dietro sfumature, aneddoti e storie che, forse, appartengono solo a lei e non necessariamente ad altri.

Questa è la storia di Maria Cristina e del suo vissuto insieme all’impenetrabile Guglielmo. Una donna che ha tracciato un solco indelebile nei comportamenti del marito al punto di fargli rinnovare, se non cambiare del tutto, il modo di vivere la propria esistenza, sia pubblica che privata.

Ma come è riuscita a conquistare il cuore di Guglielmo? Quali armi di seduzione ha individuato, ed utilizzato, per competere con lo stuolo delle tante pretendenti?

Quali sono stati i rapporti con la prima famiglia di suo marito e perché non si è risposata?

Domande apparentemente semplici dietro le quali si cela il mistero della convivenza tra mito e natura umana che nessun blasone, o gloria, potranno mai separare né fondere completamente. In alcuni casi il blasone e la gloria prendono il sopravvento, in altri casi è la natura umana ad avere la meglio, senza mai poterne prevedere gli esiti. Ma proviamo ad andare con ordine. Maria Cristina, oggettivamente bella e molto più giovane di Guglielmo, si era manifestata nella vita di lui mentre l’uomo stava vivendo una fase di grande vulnerabilità emotiva. Aveva lasciato la sua prima moglie, non disdegnava abbandonarsi alle lusinghe delle sue tante ammiratrici ed il tempo continuava ad essere un prezioso elemento, da utilizzare con grande parsimonia. La bellezza e la semplicità di Maria Cristina l’avevano folgorato e cercava costantemente di poter inanellare le occasioni per vederla e starle vicino. E’ molto suggestiva la riflessione della figlia Degna secondo la quale Guglielmo “.. era come uno studente che cerca di vedere almeno da lontano la compagna di classe che gli ha rubato il cuore. L’inaccessibilità di lei alimentava il suo romanticismo”.

La comune passione per il mare ha fatto il resto. Cristina ha accettato di buon grado di vivere gran parte del tempo sull’ Elettra. Ne era affascinata. Anche la figlia Elettra sembrava essere a suo agio a bordo del panfilo, prendendo tutto per gioco. La donna, con la sua travolgente energia, ha convinto Guglielmo ad uscire sempre più dal laboratorio per incontrare la gente, stare in mezzo a loro, divulgare di persona le sue ricerche. E quando era immerso nei suoi studi non lo abbandonava, anzi lo supportava e lo aiutava fisicamente, come nel caso dell’esperimento con le onde corte a Sestri Levante. Era la moglie ideale. Purtroppo il loro idillio è durato poco: il cuore li aveva uniti, lo stesso cuore li ha separati. Anche dopo la morte del marito si è adoperata moltissimo per la sua memoria. Unico neo: un rapporto palesemente distaccato con la precedente famiglia di Guglielmo. L’aspetto economico – patrimoniale era stato già definito tra Beatrice, la prima moglie, e Guglielmo. Ma era il distacco emotivo che soprattutto i figli Degna, Gioia e Giulio lamentavano. Maria Cristina ha vissuto i suoi primi ventisette anni tra i fasti e le agiatezze della nobiltà romana. I successivi dieci anni sono stati i più intensi della sua vita essendo riuscita anche a curvare il modo di porsi del difficile Guglielmo. Nell’ultimo periodo della sua vita, cinquantasette anni, è convissuta con il ricordo del suo amato e non ha mai ritenuto opportuno sposarsi, forse anche mantenendo fede ai principi della sua nobile casata.

Da credente quale era deve aver pensato che tutti gli accadimenti della sua vita dovevano essere governati da un destino predeterminato.

Un destino assolutamente non banale, potremmo aggiungere noi.