Pubblicato da Arteventi news il 1 Settembre 2019
Siamo nel novembre del 1931. Una rivista specializzata riportava una notizia sconcertante. Un certo dottor d’Osteck-Callery, che fece parte durante la guerra di una commissione interalleata di radio-tecnici operanti al Capo d’Antibes, sulla Costa Azzurra, raccontò di aver raccolto una testimonianza di un vecchio guardiano del faro riguardante Guglielmo Marconi.
In quel tempo stava lavorando per collegarsi via radio con la Corsica. Il racconto ebbe ufficializzazione in un giornale di Madrid, la Libertad, il 25 maggio 1924 e confermato da l’Eclaireur de Nice. Marconi pernottava a Nizza ed era solito arrivare al faro a giorno fatto. Dovendo fare la spola con una certa frequenza, si avvaleva di un calesse di piazza. In quei tempi si trovava a corto di denaro e pagava il vetturino come e quando poteva.
Venne un giorno in cui il conto ammontava a una bella sommetta tale da spazientire il vetturino al punto da trascinare fuori del calesse il nostro inventore e tempestarlo di pugni. A nulla valsero le giustificazioni e le rassicurazioni di Marconi che rimase stramazzato a terra. Venne soccorso da un ospite dell’albergo Hotel du Cap, Sir William Henry Preece, valente fisico. Dopo questo episodio nacque una grande stima reciproca, favorita anche dalla comune passione per la fisica. Marconi consentì al suo salvatore di assistere ai suoi esperimenti al punto di fargli udire i segnali elettrici provenienti dalla Corsica. Il fisico gli fece conoscere un alto funzionario del Post Office Londinese ed ottenere un credito di 15.000 scellini che gli permisero di continuare i suoi studi.
In questo racconto tutto è possibile, dall’esperimento all’incontro, salvo il ricevere segnali dalla Corsica, distante ben 150 km. Si ha documentazione che nel 1899 i suoi segnali attraversarono la Manica, distante 30 km. Nel 1896 poteva trasmettere a non più di qualche centinaio di metri. Con la necessaria riserva, riferita alla radio – bugia del collegamento con la Corsica, potremmo comunque inserire l’episodio nella “apocrifa” biografia marconiana.
Umberto Alunni