Pubblicato da Arteventi news il 27 Ottobre 2018
I giornali locali (Il resto del Carlino in primis) non tardarono a dare contezza di quanto il giovane Marconi stava facendo. L’ammirazione si abbracciava alla incredulità e, al tempo stesso, all’orgoglio di un territorio che stava esprimendo una personalità così importante. A Pontecchio si faceva un gran dire di Marconi, a partire dal suo collaboratore Antonio Marchi.
Quando conoscenti e amici gli chiedevano che cosa facesse “cal mat ed Marconí”, “quel matto di Marconi”, scuotendo la testa non rispondeva. Oppure si limitava a dire che non sapeva nulla di nulla o che erano tutte storie quelle che si raccontavano in giro, come quella delle mucche che avevano smesso di fare il latte perché le antenne di Villa Griffone attiravano troppa elettricità.
Ma si sa, qualsiasi novità richiama uno o più “Ingrigitori”, definibili come coloro che, metaforicamente, in presenza di un’idea più o meno buona, prendono un secchio di vernice grigia e gliela tirano addosso per non favorirne la diffusione. Era già successo anni prima con l’avvento del fonografo. Allora si riteneva che l’ascolto casalingo di opere classiche potesse svuotare i teatri. Per la radio i primi “Ingrigitori” erano di due tipi: accademici e non.
Tra i primi va ricordata una figura poco nota, certo Stefanoni, secondo il quale Marconi era un millantatore, un prestigiatore che truccava gli esperimenti per acquisire consensi. Tra i secondi la cerchia di acculturati secondo i quali la possibilità per tutti di ascoltare una miriade di programmi con la semplice rotazione delle manopole potesse creare assuefazione, con conseguente riduzione delle vivacità culturali.
Un bellissimo articolo dell’epoca evidenziava una forte preoccupazione: riuscirà il radioascoltatore ad addomesticare le onde che provengono dall’etere per affogarlo.