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Anni trenta: la radio e la polizia messicana
Pubblicato da Arteventi news il 22 Gennaio 2023
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Secondo un articolo del RADIOCORRIERE del 1936 la polizia messicana ha avuto un’idea da fare invidia ai migliori giallisti. Avrebbe pensato di poter utilizzare la radio quale strumento per “agevolare” le confessioni degli accusati di delitti. Questi ultimi erano svegliati di soprassalto, nelle ore più impensate della notte, da una voce che diceva: “Io sono la tua vittima! Confessa! Vile! Sei tu che mi hai assassinato!”. La voce, per la ricostruzione del contesto, ritenuta provenire d’oltretomba, scaturiva in realtà da un radio ricevitore azionato da una trasmittente posta negli uffici di polizia. Il monito entrava in pausa, poi aspettava che lo sciagurato si riprendesse per proseguire allo stesso modo: “Ti perseguiterò fino alla tua morte. Ogni notte verrò a rimproverarti per il tuo delitto!”. E così via.
Il più delle volte, dopo qualche notte di trattamenti, il pregiudicato, sfinito e spossato, chiedeva del giudice istruttore e confessava. Per quanto ovvio quanto più l’equilibrio del malcapitato era fragile tanto prima gettava la spugna e si dava da fare per definire la sua posizione. Molti giornali, ed una gran parte della pubblica opinione, hanno iniziato una vera e propria campagna contro un simile sistema, giudicato barbaro. E ciò anche considerando che il target destinatario di simili affronti non godeva certo di particolari consensi.
La motivazione principale alla base della protesta era la sproporzione del trattamento. Si sosteneva anche che una simile vessazione avrebbe potuto creare più danni che benefici, in barba al criterio della giustizia. Infatti molte persone, per liberarsi da un tale incubo, avrebbero potuto confessare delitti, anche se non commessi.
Umberto Alunni
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