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Pubblicato da Arteventi news il 8 Novembre 2020
La radio ha messo al mondo un nuovo tipo di giornale: il giornale parlato. Lo strumento, per sua natura, aveva il grande pregio di rendere le notizie in modo istantaneo senza passare per i tempi richiesti dalla stampa e dal cinematografo. Al tempo stesso richiedeva una differente professionalità, più spiccata, meno prevedibile e meno scontata: come la stampa dava le notizie in tre righe e il cinematografo in tre metri, la radio poteva darle in tre minuti.
Già a metà anni ‘20 le varie radio si dotavano di redattori specializzati. Tuttavia ci si rese conto che il pubblico apprezzava in particolar modo i servizi di “reportage”. Il microfono era portato sul posto dell’avvenimento. Per questo era necessario un bravo reporter in grado di descrivere la notizia, dando l’illusione di assistere personalmente al fatto di cronaca che, magari, si stava svolgendo a centinaia di chilometri. Il nuovo sistema di informazione prometteva di non avere limiti. Microfono e reporter potevano sfondare la barriera del tempo e dello spazio penetrando Questure, Tribunali, Ospedali, attraversando i continenti in men che non si dica.
La radio restituiva le notizie in modo autentico e, quando si incontravano reporters particolari, anche con un pizzico di pazzia. Quest’ultimo è sempre stato l’ideale per il pubblico radiofonico medio. Un esempio per tutti: Matteo Lanzelot, il primo reporter che ci lascio la pelle ma volle finire il servizio. Siamo alla fine degli anni ’20. Prendendo appunti durante una sommossa parigina Matteo era rimasto gravemente ferito e trasportato all’ospedale. Dettò tutto il resoconto della giornata al chirurgo in sala operatoria terminando così: – Si contano dieci feriti e un morto -. – Chi è dunque il morto? – gli chiese il chirurgo. – Io – rispose lo stoico reporter. E spirò.
Umberto Alunni
Anche questo articolo è stato ripreso tempestivamente da GOOGLE NEWS.