RADIO PERSONE E LIBERTA’

Questo scritto è stato pubblicato nel Capitolo X del libro IL MONDO IN TASCA – di Fausto Casi Presidente del MUMEC Museo dei Mezzi di Comunicazione.

RADIO, PERSONE E LIBERTA’

Quale altro strumento ha portata comunicativa più della radio? verosimilmente nessuno. Questa considerazione, magari audace, oggi potrebbe essere messa in discussione dall’avvento dei Social. Tuttavia, retrodatando il punto di osservazione a ottanta anni fa, i dubbi si diraderebbero fino ad inanellare la certezza che la radio è lo strumento della comunicazione per eccellenza. Le storie che racconteremo, assolutamente vere e documentate, sono ambientate proprio là, durante il periodo della seconda guerra mondiale.

La prima – Gea, un tesoro di radio – in Germania e la seconda – Gilda La Rocca, la “radio partigiana” – in Toscana. Entrambe si innervano tra persone, un periodo difficile e la passione per i propri ideali, in primis la libertà. In ciascuna di esse la radio svolge un’attenta, sapiente e clandestina attività di catalisi che contribuirà al raggiungimento degli obiettivi, pur non senza oneri. 

GEA, UN TESORO DI RADIO

Gli appassionati di radio e di vita militare, prima o poi, finiscono per confluire idealmente nel centro Europa, in qualche Lager dove, durante la seconda guerra mondiale, si sono consumate pericolose ed affascinanti storie di ascolto clandestino. La suggestione aumenta considerando situazioni in cui le radio, o parte di esse, erano autocostruite all’interno dei luoghi d’internamento con mezzi di fortuna. La più conosciuta di tutte è Radio Caterina, della quale esiste ampia documentazione. La continua ricerca in questo inesauribile mondo mi ha portato a conoscere un collega di lavoro, Pierluigi Cerbai, figlio di Guido ufficiale internato in vari Lager dal 1943 al 1945. Suo padre partecipò attivamente alla costruzione di Radio Caterina. Oltre al Comandante Brignole, vera e propria autorità all’interno del campo[1], ebbe modo di conoscere Giovannino Guareschi, ma anche Alessandro Natta e Gianrico Tedeschi, rispettivamente futuri politico e attore[2]. Guido incontrò Ugo Dragoni a cui fa riferimento la radio oggetto del presente racconto. Verosimilmente si frequentarono anche dopo la guerra in ambienti Associativi. Ugo si diede molto da fare per documentare la vita all’interno dei Lager. Tramite Pierluigi sono venuto in possesso di un suo dattiloscritto, dell’ottobre 1971, con una dedica di suo pugno “Memore ricordi di giorni durissimi. Saluti affettuosi. Gennaio 1972. Ugo Dragoni”. Abbiamo modo di ritenere che l’avesse regalata a Guido. Il documento descrive, con eccezionale lucidità e dovizia di particolari, la storia di una radio, quasi umanizzata tra gli ufficiali internati. Un apparecchio che, contravvenendo alle rigide disposizioni dei Lager tedeschi, funzionò dal 1943 al 1945 riuscendo a ritornare in Patria, collegato al destino di ventiquattro ufficiali tempo per tempo protagonisti, individualmente o in gruppo, di episodi drammatici e sempre molto rischiosi. Con il passare del tempo la presenza della radio nel campo di prigionia era accertata. L’apparecchio, alla stregua di un’ambita preda, era braccato giorno per giorno fino a cadere, per fortuna inconsapevolmente, nella mani delle Gestapo. La storia ha inizio l’11 settembre del 1943, quando diverse centinaia di ufficiali da internare aspettavano di passare il controllo per entrare nello Stalag[3] XVII/B a Kaiser Steinbruck, in Austria. Intanto si stava diffondendo il panico perché si aveva notizia che i tedeschi avrebbero sequestrato ogni ben di Dio: liquori, sigarette, cibarie, macchine fotografiche, apparecchi radio ed quant’altro di valore. Durante l’attesa fecero sparire quanto possibile, specie i liquori e le cibarie, con eque ripartizioni. Era impressionante la pila di materiale accumulata nell’accertamento, tra cui tante radio. Dragoni incontrò il tenente Bacicchi, del 74° Fanteria Lombardia, già conosciuto a Pola, tenutario di una radio. Raggiunsero un accordo sommario per occultarla e provare a portarsela dietro all’interno del campo. Al termine dell’internamento il tenente sarebbe ritornato proprietario dell’apparecchio. Con la complicità di una confusione provocata spontaneamente dagli ufficiali in coda, la radio entrò furtivamente. La facilità di ingresso fece acquisire al gruppo degli internati un certo ottimismo che raggiunse il suo apice il giorno successivo, quando riuscirono a sentire radio Londra. Purtroppo il tenore delle notizie gliene fece rilasciare subito una gran parte: i nazisti avevano occupato tutta l’Italia e ciò significava, ben che fosse andata, il prolungamento della permanenza negli Stalag. Intanto la radio svolgeva il suo compito: non rendere bruti, come avrebbe commentato più tardi Giovannino Guareschi. Gli italiani non erano considerati prigionieri di guerra e si lavorava molto affinché crollassero psicologicamente. Mentre gli altri ufficiali europei avevano la fuga come obiettivo loro avevano la resistenza utilizzando qualsiasi mezzo, pur nella clandestinità: autodisciplina, lettura, igiene personale, lezioni universitarie, spettacoli teatrali, acquisire informazioni dall’esterno. A questo pensava la radio di Bacicchi, amorevolmente adottata dal gruppo di Dragoni e ribattezzata Gea. Nel suo documento Dragoni la scriverà sempre in maiuscolo, come il nome proprio di una persona. Nel dattiloscritto si dice solamente che è un “apparecchio a cinque valvole di marca tedesca A.E.G.[4]”.

Non si fanno ulteriori riferimenti alle sue caratteristiche tecniche. Utilizzando questi pochi elementi certi, virtualizzandone altri, ho provato a dare a Gea un volto ed una sua possibile plasticità. Analizzando la produzione di radio A.E.G. a cinque valvole, nei cinque anni precedenti al 1943, ho individuato 11 modelli, di cui 9 con informazioni complete[5] (69W, 679WK, 709WK, 56GW, 56W, 58W, 68W, 79WK, 430WK). Considerando anche il mobile ingombravano mediamente 60 centimetri cubi, con un peso medio di 14 kg. Non è dato sapere se la radio, nella sua clandestinità, avesse mantenuto l’involucro. Certo è che nei suoi spostamenti aveva comunque bisogno di una copertura protettiva per evitare che le preziose valvole, e la membrana dell’altoparlante, si potessero rompere (per nasconderla è stata sotterrata anche sotto un metro di sabbia). In tal caso l’ingombro sarebbe diminuito notevolmente, ma non il suo peso. Da Kaiser Steinbruck il gruppo fu trasferito a Pryzmyl, in Polonia e vennero sistemati al campo Pikulic. Nel frattempo l’ascolto si stava facendo più complicato perché qualche ufficiale inneggiava canzoni del regime fascista. Da Gea si ascoltavano le solite notizie: in Italia nulla di nuovo mentre i russi avanzavano troppo lentamente.  Intanto una commissione fascista faceva visita agli ufficiali per convincerli ad arruolarsi nell’esercito repubblichino. Lo scouting procedeva senza troppo clamore. L’ascolto continuava tra un’ispezione e l’altra: Gea si muoveva tra le stanze, il trincerone e gli altri ambienti in cui era possibile occultarla. Il tutto accadeva con la stessa dinamicità di un asso nel gioco delle tre carte. Si prendeva quasi sempre Radio Londra fino alle 20, perché dopo la corrente elettrica veniva staccata. Invano si ricercavano le altre stazioni, di potenziale interesse per il gruppo (es: Radio Bari). Nel frattempo i russi si stavano avvicinando e i campi di Pikulic e Neriptka vennero chiusi. Prossima destinazione: Lager di Kustrin, dopo un viaggio di tre giorni dentro un carro bestiame.  In questo campo la permanenza era tranquilla. L’ascolto di Gea avveniva con regolarità, non scalfito neanche dalle frequenti perquisizioni della Gestapo, soprattutto nel vicino campo dei prigionieri russi. Si venne a conoscenza della presa di Roma e dello sbarco in Normandia, alimentando la fiammella di quell’ottimismo che si stava facendo sempre più flebile. Il 6 agosto il campo di Kustrin venne sciolto ed il gruppo si trasferì a Sandbostel. Dragoni riuscì a portarsi dietro la radio con scioltezza, essendo incaricato del ritiro e spedizione dei bagagli. Non si sa come ma nel campo si diffuse la notizia che era arrivata una radio da Kustrin. Il fatto non faceva clamore più di tanto perché si aveva notizia dell’esistenza di altri due apparecchi[6]: Mimma e Teresina. Riferendosi a radio Caterina Dragoni scriveva: “Più tardi, nel novembre 1944 il gruppo Olivero – Martignago riuscirà addirittura a costruire una radio ad una valvola che funzionerà regolarmente fino alla liberazione”.  Si sfiorò la tragedia quando la radio, nascosta su una cassa, fu sequestrata, pur nella inconsapevolezza del suo contenuto. Qualcuno del gruppo, con grande scaltrezza, vi mise il nome di un ufficiale italiano non più nel Lager. Ciò per evitare ripercussioni qualora avessero trovato la radio. Qualche giorno dopo, con un’azione da manuale, l’apparecchio fu riconquistato e riportato alla baracca n. 63, dove venne seppellito sotto un metro di sabbia. Un altro momento terribile fu qualche giorno dopo quando il sergente della Gestapo Schultz, promosso qualche giorno prima per aver scovato una radio clandestina, quella del tenente Lombardi, varcava la soglia della baracca, proprio quando il gruppo era in ascolto. Si mise a fissare la lampada con lo sguardo in assoluto silenzio.  Nel frattempo l’ufficiale più vicino alla radio ridusse al minimo il volume, evitando il rumore dell’interruttore, e la occultò. Ancora una volta Gea era in salvo. Schultz se ne andò sbattendo la porta con il comportamento tipico di chi, pur sapendo di andare a colpo sicuro, non era riuscito nell’intento. Per evitare problemi Gea venne portata nel magazzino attrezzi della baracca dei soldati italiani facenti capo al capitano Giacobbe. Alla fine del 1945 il campo italiano di Sanbostel venne sciolto e quasi tutti i prigioneri trasferiti a Wietzendorf. Si disperse anche il gruppo di Dragoni e cinque di loro vennero trasferiti a Fallingbostel. L’apparecchio venne fatto uscire dalla cucina per il tramite del capitano Vitale. Nel nuovo campo il soggiorno era durissimo ma la facilità di ascolto ne alleviava il peso. Fu possibile ascoltare le più importanti emittenti ed essere sempre costantemente aggiornati. Dopo la liberazione, avvenuta il 16 aprile, Gea si rendeva ancora utile perché con tutte le notizia ascoltate veniva compilato “L’Informatore quotidiano” che aiutava i prigionieri liberati ad attendere con più pazienza il ritorno in Italia. Il 4 settembre Gea arrivò felicemente a Firenze e dopo qualche settimana, come convento nello Stalag XVII/B a Kaiser Steinbruck, in mano al suo proprietario, il tenente Bacicchi. Conservato come cimelio della prigionia tedesca, testimone di situazioni a dir poco complicate, la sua fama si infranse negli scogli dell’alluvione che colpì Firenze nel novembre del 1966. L’apparecchio subì danni ingenti, non ci è dato sapere di quale entità. La sua fama, però, è rimasta intatta. Come in altre situazioni della specie, l’impossibilità di toccarla, percepirla, ne aumenta il valore, tipico di chi non c’è più ma fatto in tempo a curvare i destini di uomini coraggiosi, con tanta voglia di vivere ed affermare i propri ideali.  Leggendo altre storie sembra quasi che l’alluvione a Firenze, contrariamente al diluvio universale, abbia contribuito a valorizzare tutto ciò che ha distrutto, conferendogli una sorta di mitizzazione.

Questa è la storia di Gea, e della sua contestualità con radio Caterina, nel Lager di Sandbostel. Sono particolarmente grato al mio collega Pierluigi Cerbai, che ha messo a disposizione il prezioso materiale documentario, e per essere stato ospite dell’AIRE Toscana nella sede di Calenzano. In quell’occasione ha restituito agli associati una serie di informazioni apprese in merito a Caterina e Gea, con la stessa passione di quando, da bambino, le ascoltava da suo padre, ben conscio di avere a che fare con un eroe, un eroe vero!

GILDA LA ROCCA, LA “RADIO – PARTIGIANA”

Gilda La Rocca non ha origini nobili e non è stata una donna di spettacolo. Non ha neanche contribuito direttamente allo sviluppo tecnologico della radio. Tanto meno in modo indiretto. Niente di tutto questo. Ma allora cosa c’entra con la radio? Per quale motivo può essere assurta al rango di “donna della radio”? In un precedente intervento (vedasi articolo -Ecco le donne che hanno influenzato la radio- del 16 giugno scorso) ho scritto che “era la collaboratrice dell’avv. Enrico Bocci, ispiratore della radio clandestina radio CO.RA. di Firenze. Grazie a lei, per un lungo periodo di tempo, la radio poté espletare il suo ruolo, in un contesto tutt’altro che fisiologico. Verosimilmente si era imbattuta in una situazione più grande delle sue aspettative e non sempre aveva piena contezza di ciò che stesse accadendo.” Gilda ha favorito, in maniera egregia, l’utilizzo della radio per quel nobile fine a cui lo stesso Guglielmo Marconi ha fatto più volte riferimento: comunicare per salvare vite umane. Il valore delle sue gesta acquista ancor più significato pensando al contesto in cui ha svolto la sua opera: durante il periodo di guerra ed in uno stato di pericolosa clandestinità. Siamo nel primo semestre del 1944, a Firenze, in piena Resistenza. Gruppi di patrioti stanno mantenendo faticosamente i contatti con il comando alleato, tenendo in scacco l’efficientissima macchina informativa e poliziesca nazi-fascista. La sua non è una storia troppo diversa da altre: una famiglia numerosa dove il problema non era il pensiero politico ma la quadratura dei conti del bilancio familiare. 

L’impatto con la vita quotidiana, e il vissuto giovanile, costituiscono gli elementi fondanti della sua coscienza politica, che sfocia in un innato senso di giustizia. Questi valori la accompagneranno sempre, al punto da poter essere considerati compagni fidati anche nei momenti di maggiore smarrimento.  Gilda non avrebbe avuto un ruolo da protagonista se non avesse conosciuto l’avvocato Enrico Bocci, figura di riferimento della storia in questione. Era entrata nel suo studio nel 1931, dopo essere stata impiegata in quello del fratello Riccardo in qualità di contabile e corrispondente.  Ad un certo punto Riccardo smise il suo commercio e Gilda, per il suo tramite, passò nello studio di Enrico. Accettò di buon grado anche perché il lavoro era completamente diverso dal precedente e molto più gratificante. Si era anche affiatata con gli altri componenti la famiglia dell’avvocato: la madre Bice, il padre Decio e la sorella Ada, di primo acchito scontrosa ma, alla lunga, gentile e gradevole. La ragazza si sentiva bene nel suo nuovo ambiente, specie nella famiglia Bocci, composta da persone colte, intelligenti, oneste e pulite, quasi un’isola felice considerato quello che, in quel periodo, stava imperversando in Italia. Custodiva, gelosamente e degnamente, un’avversione per qualsiasi forma di violenza, sentimento alimentato anche da quanto ricordava della prima guerra mondiale. A quel tempo aveva appena sei – sette anni, il padre era comandante dei carabinieri della stazione di Pescia e, durante un tafferuglio, aveva arrestato e messo in guardina uno scalmanato. Gilda abitava sopra la caserma. Mentre il padre era andato in ricognizione per verificare lo stato delle cose, un gruppo di facinorosi si avvicinò alla caserma lanciando sassi affinché venisse liberato l’arrestato. In caserma era presente solo il piantone che, terrorizzato, andò nell’appartamento al primo piano dove c’era la famiglia La Rocca. Gilda ricordava molto bene quei momenti di terrore, fino a quando non ritornò la pattuglia con il padre che sistemò tutto. L’altro brutto ricordo era di Napoli. A cavallo tra il 1917 e il 1918 il padre vi era stato trasferito dopo la promozione a tenente. Dopo una notte di bombardamenti la mamma di Gilda faceva dormire i figli vestiti, sul letto senza scarpe, per essere pronti alla fuga in caso di pericolo imminente.

Finalmente la guerra finì e lei, in cuor suo, pensava che tutto potesse tornare come prima ma, evidentemente, si sbagliava. Intanto nel 1919 il padre ebbe un forte esaurimento che lo costrinse a dimettersi dall’arma dei carabinieri. Andarono a vivere a Pontassieve, in Toscana, dal nonno materno in attesa che il padre potesse trovare un lavoro consono al suo stato di salute. Gilda non si ritrovava in quel mondo fatto di violenza, soprusi e paure. Quando faceva domande su questi argomenti gli rispondevano che doveva pensare a studiare e che non erano cose da ragazzi. Ma questo altro non faceva che alimentare il suo distacco verso il regime che stava imperversando. Intanto il padre aveva trovato un lavoro come economo in una piccola banca fiorentina e faceva il pendolare. Con l’occasione Gilda, dopo le elementari, frequentava una scuola complementare. Prese il diploma di computista, gli mancavano due anni per quello di ragioneria. La formazione scolastica fu provvidenziale per il suo futuro. La sua famiglia, padre, madre e gli altri sette fratelli, fu teatro di varie vicende che avevano come matrice comune il disagio di aderire al nuovo regime. A ciò si aggiunga che la malattia del padre finì per scaricare sulla madre il peso della famiglia. Finalmente Gilda trovò lavoro ed ebbe la possibilità di contribuire economicamente.

Gilda era un’impiegata modello che aveva sempre manifestato la sua avversione al regime totalitario del tempo. Questo l’avvocato Bocci, suo datore di lavoro, ma anche attivista contro il regime, lo sapeva bene. Sapeva anche che la ragazza avrebbe potuto essere particolarmente utile nella sua organizzazione. Ma come fidarsi? Come poteva coinvolgerla senza rischiare di comprometterla oltre il dovuto o, peggio ancora, di mettere in difficoltà l’organizzazione? La riserva, molto probabilmente, si sciolse quando Gilda rifiutò il premio in denaro chiamato “28 ottobre”, istituito dal duce per celebrare l’anniversario della marcia su Roma, che i datori di lavoro dovevano corrispondere ai dipendenti. Gilda non voleva un premio di regime. Si arrivò ad un compromesso: li avrebbe ricevuti a Pasqua quale simbolico uovo.  Da quel momento si rese disponibile per svolgere qualche incarico non propriamente “legale” per quel periodo. Nella maggior parte dei casi si trattava di consegnare lettere, documenti di vario genere a sconosciuti o, parimenti, riceverle. Si sentiva fiera per quanto stava facendo, anche se il cuore andava a mille non avendo piena contezza delle mansioni svolte. Gilda aveva, ormai, le caratteristiche per entrare a far parte del gruppo RADIO CO.RA..

Ma cos’è Radio CO.RA.? E’ l’acronimo di COmmissione RAdio, una radio clandestina fiorentina, attiva dal gennaio del 1944 fino al successivo 7 giugno, il cui scopo era il collegamento e passaggio delle informazioni alle forze alleate di stanza a Bari.  L’avvocato Bocci ne era l’ispiratore e colui che, insieme ad altri fidatissimi, ne assicurava la funzionalità.

Dopo la prima trasmissione di prova, in via de’ Pucci, Radio CO.RA. continuò a trasmettere ininterrottamente per cinque mesi da luoghi diversi per evitare di essere intercettata e scoperta.

Era senza dimora fissa, trasmetteva messaggi in codice con poche regole ma essenziali per la sua sopravvivenza, la più importante delle quali: non dover trasmettere dallo stesso posto più di due volte al giorno. Era la contromossa vitale per sfuggire alla localizzazione da parte dei nazifascisti e al loro bombarda-mento, che pure lambì, risparmiandola, Radio CO.RA.. Questo fu Radio CO.RA.:  Un’intuizione salvifica, più che una vera e propria radio, che per cinque mesi – dal gennaio al giugno del 1944 – tenne i contatti con il Comando anglo – americano dell’VIII Armata grazie alla passione ed allo spirito civile dei suoi sostenitori. Un inedito nella storia della Resistenza italiana, un’operazione di “intelligence” nel ventre squartato di una (non) nazione allo sbando, che servì agli alleati affinché potessero, dall’alto dei loro aerei, non solo lanciare armi e cibo ai partigiani in montagna, ma soprattutto sferrare attacchi alle truppe tedesche. Le informazioni criptate, che giornalmente provenivano dalla CO.RA., indicavano l’esatta ubicazione degli obiettivi militari. Ciò ha evitato stragi di civili. Inoltre, le “dirette” della radio fornirono preziose informazioni per favorire una veloce conquista alleata dei territori invasi del nord Italia. Possiamo affermare che radio CO.RA., fatte le debite proporzioni, svolse il compito che in Inghilterra, più o meno contemporaneamente, fu di Enigma, la famosa macchina decriptatrice. Gilda era parte integrante del progetto. Aveva il compito di decifrare i messaggi utilizzando i relativi codici e, non ultimo, di trasportare fisicamente la radio da un punto di trasmissione all’altro. Altri dovevano sistemare l’antenna, procurare l’energia elettrica. Il radio-telegrafista porta-va sempre con sé i quarzi necessari al funziona-mento della radio (per la loro importanza potremmo paragonarli alla sim dei nostri smartphone). Il tutto con una precisione e tempistica maniacale, considerando l’importanza delle informazioni che si dovevano trasmettere.

Gilda era uso trasportare la radio all’interno di un borsone della spesa sopra il quale metteva qualche ortaggio per confondere le idee. Alcuni pezzi staccati venivano nascosti anche negli indumenti intimi. La sua andatura doveva essere ben coordinata, considerando che il peso della radio era di gran lunga superiore al peso teorico di qualsiasi borsa con della spesa dentro. Ma ormai ci aveva fatto l’abitudine. Il rischio di poter essere catturata era sempre dietro l’angolo e non poche volte si è trovata in situazioni difficili, superate da un buon combinato tra provvidenza e prontezza d’animo. Tra i tanti era uso raccontare un curioso aneddoto che, probabilmente, gli era rimasto più impresso. Una domenica mattina era andata a portare la radio a Corbignano. La trasmissione era avvenuta nel primo pomeriggio e doveva riportare indietro l’apparecchio. Appena mangiato l’aveva riposta nella solita borsa scozzese e si stava avviando verso la discesa che porta al Ponte a Mensola per prendere il filobus. Poco dopo che era salita cominciarono ad urlare le sirene che preannunciavano possibili bombardamenti inglesi. Tutti vennero fatti scendere dal mezzo. Le sirene non cessavano lasciando presagire che non sarebbe ripartito a breve. Gilda decise di avviarsi a piedi, fare qualche chilometro con la borsa al seguito, per essere sicura di non perdere l’appuntamento per la prossima trasmissione. Durante il tragitto fu raggiunta da un repubblichino, anche lui sceso dal filobus che, molto galantemente, si offrì di portargli la borsa. Provò a rifiutare ma, visto che l’uomo insisteva, non ritenne opportuno proseguire oltre. Gli cedette solo un manico. Continuò a tenere in mano l’altro, mantenendolo sempre più alto per scaricare su di lei il peso non fisiologico della borsa. Il giovane si accorse, comunque, dell’insolito peso ma si sentì prontamente rispondere che di quei tempi la donna preferiva portarsi dietro le sue cose più preziose anche quando andava a fare la spesa. Per fortuna la spiegazione gli bastò e in piazza Beccaria si divisero. L’aveva scampata proprio bella!

Il 7 giugno 1944 i nazisti individuarono la ricetrasmittente in piazza d’Azeglio. Il giovane radiotelegrafista, sorpreso alla radio, ebbe la prontezza di sottrarre una pistola ad un soldato tedesco e di ferirlo a morte. Poi, a sua volta, venne colpito e morì due giorni più tardi in ospedale. In quell’occasione vennero arrestati Enrico Bocci e quattro dei suoi collaboratori.

Nelle ore successive fu arrestata anche Gilda La Rocca. L’avvocato Bocci fu fucilato dopo giorni di tortura. Il suo corpo non è mai stato ritrovato. Tutti gli altri, prima di essere inviati nei lager, furono torturati a Villa Triste. Gilda, spezzata dalle torture e dai patimenti, tentò due volte il suicidio senza riuscire nell’intento. Riuscì però a scappare prima dell’arrivo in Germania e a mettersi in salvo.

Gilda, dopo 40 anni, raccontò la sua storia, e quella di radio CO.RA., in una pubblicazione “La radio CO.RA. di piazza d’Azeglio e le altre due stazioni radio” ed. Giuntina. Nel 2004 ne venne stampata una seconda edizione in occasione del sessantesimo anniversario della Liberazione. La pubblicazione rende onore ai nostri silenti eroi e costituisce la preziosa e fedele testimonianza di un periodo troppo spesso osservato da latitudini visive differenti.

Secondo la Corte d’Appello di Bologna  “… il comportamento di questa donna (Gilda La Rocca -ndr) nel corso della sua dolorosa vicenda è stato veramente meritevole della più incondizionata ammirazione e la misura della sua obbiettività è rivelata dalle sue stesse dichiarazioni…”. Questa è Gilda La Rocca, una donna con una significativa maturazione politica che è esemplare dei percorsi del tutto personali compiuti da tanti giovani nel lungo viaggio verso la libertà e la democrazia. Il suo innato senso di giustizia, forgiato nella sofferenza familiare, e costantemente alimentato dai suoi ideali, diventa il metro di giudizio della realtà. Con il suo operato ha assicurato alla radio la sua funzionalità di strumento di pace e di benessere per l’umanità a sprezzo della sua stessa vita.

                                                                                                                                             UMBERTO ALUNNI


[1] Il campo è quello di Sandbostel, cittadina tedesca della Bassa Sassonia (Niedersachsen), situata a 43 km a nord-est da Brema e 60 km ad ovest di Amburgo.

[2] Fonte: “Il naufragio della Motonave Paganini 75 anni dopo”, Franco Fantecchi, ed. Associazione Nazionale Artiglieri d’Italia, da pagg 97-103 e 353-355.

[3] Stalag o Stammlager è un termine utilizzato per indicare i campi di prigionia tedeschi per i prigionieri di guerra. Si tratta di un’abbreviazione di Mannschaftsstamm- und Straflager (Fonte:wikipedia).

[4] Gea era l’anagramma di AEG.

[5] Fonte: Radiomuseum.org.

[6] Secondo Ugo Dragoni gli italiani riuscirono a nascondere in tutto otto radio clandestine nel vari Lager, gran parte delle quali a Sandbostel (Fonte: http://www.radio-caterina.org/le-radio-clandestine/)