BEATRICE, PRIMA MOGLIE E CONFIDENTE DI MARCONI

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Beatrice O’Brien è nata il 23 dicembre 1882.

Era la figlia di Edward Donough O’Brien, quindicesimo Lord lnchiquin (come risulta dalla biografia di Guglielmo Marconi scritta da Luigi Solari, tredicesimo o quattordicesimo come evidenziato in altri testi), un discendente impoverito di Brien Boru, re guerriero d’Irlanda. Il territorio era, a quel tempo (e lo fu anche in seguito), dilaniato da guerre interne tra clan rivali. Spesso invasori stranieri si alleavano con uno o più clan locali per muovere guerra ai clan di altri territori, salvo poi sottomettere sia i vinti che gli alleati. Brien Boru fu un re di clan che seppe far convivere abili doti diplomatiche con prove di forza e di coraggio in guerra, riuscendo ad essere eletto, nel 1002, sovrano supremo d’Irlanda (Ard Rì), carica che in realtà era poco più che onorifica e di rappresentanza che non permetteva di esercitare un’effettiva influenza sull’unità nazionale del Paese. Secondo qualche fonte è venerato come martire dalla Chiesa cattolica e dalla Church of Ireland (Chiesa anglicana).  La sua reputazione di santo non sembra essere, in realtà, di origine irlandese e in Irlanda non esiste alcuna prova certa di culto. I Bollandisti (Gesuiti che compilarono gli Acta Sanctorum) menzionano Brien Bòruimhe, tra i praetermissi (i santi “dimenticati”), al 12 marzo.

La madre di Beatrice si chiamava Ellen Harriet White. Entrò nella vita di Guglielmo Marconi in un momento particolarmente intenso della vita dell’inventore: stava proseguendo gli esperimenti a ritmo forsennato, puntando sulla sempre maggiore distanza di comunicazione del suo telegrafo senza fili, in alcuni momenti osannato e in altri, forse numericamente maggiori, ostacolato dalle lobbies che intravedevano un pericolo per i loro affari.

Guglielmo, in quel periodo, a fine 1904, si sentiva particolarmente in colpa perché la bilancia della sua vita stava pendendo troppo verso il piatto della telegrafia senza fili, alzando vertiginosamente quello della vita privata. Qualche mese prima, a marzo 1904, non era riuscito ad andare al funerale del padre perché impegnato, al punto da fargli pronunciare la famosa e triste frase: “un uomo non può vivere di gloria da solo”.

Beatrice, già aveva conoscenza di Guglielmo ma ebbe modo di approfondirla alla fine del 1904. In quel periodo lui stava sulla costa meridionale dell’Inghilterra, sempre per lavoro, nell’Haven Hotel di Pool. Di fronte al porto c’è una graziosa isoletta, piena di boschi, dove svetta un antico maniero, di proprietà dei ricchi signori olandesi Van Realte. Qui, durante le festività natalizie, ebbero modo di vedersi e, con la complicità del clima e la serenità del luogo, si crearono le condizioni affinché dal loro incontro potesse nascesse qualcosa di più serio.

E così fu.

Il castello “The Brown Island”, così veniva chiamata la proprietà dei Van Realte, fu galeotto a tal punto che un mese dopo già si parlava di nozze. L’accelerazione stupì molti e non trovò unanimi consensi. In primis la famiglia di Beatrice, anglicana, disapprovava Guglielmo almeno per due motivi: non era nobile e per di più straniero. Oltretutto aveva avuto precedenti esperienze di fidanzamento con due americane senza apprezzabile esito. La madre di lei, tuttavia, era affascinata dai modi di Guglielmo che, molto probabilmente, aveva colto la sua sensibilità e la possibilità di farvi breccia. E’ facile immaginare che avesse fatto ricorso alla componente anglosassone del suo Dna per fare colpo (da non dimenticare che la madre, Annie Jameson, era irlandese) accentuando quella gradevole inflessione che troppo spesso richiamava il suo status bilingue. A ciò si aggiunga il suo inesauribile carisma, che non conosceva paratie generazionali, ed altre caratteristiche sue proprie: l’eleganza, il portamento e l’ottima conoscenza della musica.

Ellen Harriet White ebbe un importante ruolo nello smussare le spigolature del rapporto tra la sua famiglia e il giovane inventore, facendo leva anche sul fatto che non era un cattolico praticante. Arrivò ad una tale confidenza con lui al punto da appellarlo con il nomignolo “Marky”.

Anche Ellen potrebbe aver pensato che la situazione che si stava presentando per sua figlia aveva le caratteristiche tali da generare profitto per entrambi i giovani. Lui si stava facendo conoscere in tutto il mondo per la sua abilità ed intelligenza, ma non aveva ancora fatto breccia negli ambienti aristocratici. Lei aveva alle spalle una gloria e per proiettarla nel futuro necessitava di quelle risorse, e di quella tangibilità, che una casata in decadimento come la sua non poteva continuare ad offrire. Oggi la potremmo definire una situazione “win win”.

Il tutto prescindendo, ovviamente, dalla freccia galeotta che il dio Cupido aveva scoccato.

Beatrice riuscì ad entusiasmare Guglielmo al punto da fargli scrivere una lettera al suo più fidato collaboratore, Luigi Solari:

“Carissimo Solari,

sono lieto di poterle comunicare il mio fidanzamento con Beatrice O’Brien, figlia di Lord Inchiquin di antica famiglia irlandese. Mi sposerò probabilmente verso la metà di marzo e spero che quando sarò ammogliato lei continuerà a volermi bene come ha fatto per il passato.

Inutile aggiungere che sono felicissimo e che la mia futura consorte è orgogliosa di abbracciare la mia nazionalità italiana. ……………….

Le mando qualche articolo di giornali, che parlano del mio fidanzamento. Con molti saluti alla sua Signora e a lei, mi abbia sempre

Suo aff.mo

Guglielmo Marconi”

Un ritaglio del giornale St James’s Gazette del 24 gennaio 1905 parlava dell’imminente matrimonio tra i due:

“L’On Beatrice O’Brien, che sposerà il famoso giovane inventore della telegrafia senza fili, è una delle otto sorelle del quindicesimo barone Inchiquin, e discende dal monarca irlandese Nrien Boroihme, che fu re dell’isola adiacente dal 1002 al 1014, nel quale anno fu ucciso alla testa del suo esercito nella battaglia di Clontarf”.

Dalla lettura della notizia trasuda il tradizionalismo inglese che pone maggiore accento sullo status aristocratico della donna piuttosto che sulle indiscusse qualità dell’italiano.

Con il fidanzamento ufficiale Beatrice trascinò Guglielmo nell’alta società londinese. L’aristocrazia inglese complementava le frequentazioni del giovane italiano, fino ad allora riferite al gran mondo ufficiale della politica, della scienza e della finanza.

La donna aveva fatto veramente colpo sul suo spasimante al punto che, nella confidenzialità dei colloqui con il suo assistente Solari, si esprimeva in tal senso:

“E’ un tipo di bellezza latina. In Irlanda il dominio spagnolo di un tempo ha lasciato nelle antiche famiglie un’impronta latina, sia nella gaiezza del carattere, sia nel colore degli occhi e dei capelli. Essa è assai giovane e molto vivace”.

C’erano alcuni aspetti che, per la loro oggettività e prevedibilità, ponevano qualche ombra su futuro della coppia: la differenza di età (23 lei, 31 lui), la differenza di nazionalità, di abitudini e di estrazione sociale, tanto per citarne alcune. Ma l’esuberanza e l’entusiasmo di Beatrice ammantavano tutti i dubbi così come il pragmatismo di Guglielmo che, sempre in chiave confidenziale, forniva queste motivazioni all’amico Solari: “…. L’avvenire è nelle mani di Dio. Del resto, avendo io assunto la religione protestante di mia madre ed essendo anche protestante la mia fidanzata, è inteso che se non andremo d’accordo potremo divorziare”.

E venne il gran giorno. Il 16 marzo 1905 Beatrice convolò a nozze con Guglielmo nella chiesa cattolica londinese di San Giorgio in Hanover Square. La notizia ebbe tutto il risalto che meritava. La chiesa era gremita e tanta gente li stava aspettando fuori per festeggiarli ed acclamarli. I vari giornali, da quelli più conosciuti a quelli che oggi definiremo di gossip, dettero ampio spazio e visibilità all’evento.

Al matrimonio partecipò come testimone l’ambasciatore d’Italia a Londra, S.E. il marchese di San Giuliano. Beatrice si vide recapitare da un addetto navale un anello con i colori nazionali, bianco rosso e verde, rappresentati da tre bellissime pietre preziose: brillante, rubino e smeraldo. Era il dono di nozze del Ministro della Marina Mercantile italiana, a dimostrazione dell’affetto nutrito verso Guglielmo e la giovane moglie.

Ricevette, inoltre, due regali dal suo consorte: un diadema di diamanti brasiliani ed una bicicletta.

Appena dopo il matrimonio passò la prima parte della sua luna di miele nel Castello di Dromoland, nella Contea di Clare in Irlanda, di proprietà dei baroni O’Brien.

Tuttavia non riuscì a tenere a lungo il proprio consorte lontano dalle onde elettromagnetiche e, poco più di un mese dopo, alle fine del mese di aprile, partì insieme a lui per l’America a bordo del piroscafo Campania. Qui ebbe modo di conoscere meglio la maniacalità per la precisione di Guglielmo quando lo vide tappezzare la cabina con una grande quantità di orologi caricati alla stessa ora di cui controllava di tanto in tanto il ritardo o l’anticipo rispetto al cronometro di bordo.

Dopo una breve e piacevolissima sosta a New York Beatrice seguì il marito a Glace Bay, comunità nella parte orientale del Comune di Cape Breton in Nuova Scozia, Canada. Era la parte situata più ad est del Canada e si prestava ad accogliere e trasmettere i segnali da e per l’Europa, Clifden in Irlanda per la precisione. In quel posto ameno poté assistere alla rinvigorita passione del marito per il suo lavoro di ricerca. I giorni per Beatrice scorrevano alternandosi tra il piacevolissimo ruolo di moglie e quello meno avvincente, e più paziente, di assistente implicita e involontaria. Di certo gli ambienti non erano quelli a Lei graditi e maggiormente frequentati. C’era molto poco di mondano in quel posto e tutto sembrava dovesse ruotare intorno al marito. Non tanti giorni dopo il loro arrivo Guglielmo dovette ritornare a Londra e, pensando di poter risolvere le questioni sopravvenute in breve tempo, lasciò Beatrice a Glace Bay.

Ma le cose andarono diversamente e iniziò un periodo burrascoso per lui e per la sua impresa. Dopo essere riuscito a tamponare le emergenze, solo in quel momento, ebbe concretamente modo di poter ripensare alla sua famiglia. Questo stato d’animo è ben intriso nel colloquio con il suo fidato assistente Solari: “Coma sa, io ho lasciato mia moglie in Canada, speravo di poter godere, là, come un modesto mortale, una vita di lavoro e di famiglia. Ma purtroppo ciò non mi è accordato. Ora ritornerò in Canada e al mio ritorno in Europa dovrò riprendere decisamente il timone della mia barca, altrimenti andiamo a fondo”.

Beatrice, dopo tanta attesa, si poté ricongiungere con il marito. Poco dopo tornarono a Londra e si stabilirono in un elegante e signorile quartiere in Charles Street. In quel periodo vissero in gioia e serenità.

All’inizio del 1906 Beatrice perse la sua prima bimba, chiamata Lucia. Il dolore familiare fu amplificato dalla notizia che l’impianto del marito, costruito a Glace Bay, era andato distrutto. Non fu mai scoperto se l’incendio fosse di origine dolosa o fortuita, ma tant’è!

Beatrice fu l’unica testimone di una scena surreale. Quando Guglielmo ricevette la notizia della distruzione di Glace Bay non disse niente e suonò per oltre un’ora un motivetto popolare irlandese, fino allo spasimo. Poi improvvisamente, turbando non poco la già provata Beatrice, si alzò ed esclamò con decisione: “Ora so che cosa debbo fare!”. La vita di Beatrice scorreva lenta, scadenzata dalle vicende e dagli impegni del marito che, in qualche modo, rischiava di annacquare il suo temperamento.

Nel settembre 1908 diede alla luce una bellissima bambina. Venne chiamata Degna.

Ben consci che la distanza non aiuta di certo il buon vivere in famiglia, quando era possibile Beatrice, Guglielmo e Degna stavano insieme. Dopo un periodo in cui si erano raggiunti importanti traguardi nel campo della telegrafia senza fili, pensarono un po’ più a sé stessi. Si sistemarono nella villa di famiglia a Pontecchio, vicino Bologna e Beatrice era in attesa del suo secondogenito. Il presentimento che potesse essere un maschio aveva accelerato la sistemazione in Italia. Soprattutto Guglielmo era desideroso che nascesse come cittadino italiano. Il 21 maggio 1910, mantenendo fede ai pronostici, nasceva il secondogenito, un bel maschio che fu chiamato Giulio. Le immense gioie familiari durarono poco e Beatrice rimase di nuovo sola perché Guglielmo chiamato altrove.

Nel 1912 la donna si trovò ad affrontare una delicata situazione derivante da un grave incidente stradale.

Il 18 ottobre era partita nella mattinata da Coltano (Pisa) diretta a Genova, insieme a Guglielmo e l’autista. Alle ore 11 l’automobile attraversò inosservata La Spezia e, presa la salita della Foce, si diresse, attraversando la Val di Vara, verso il passo del Bracco.

Appena ebbe passato l’abitato di Borghetto di Vara, in un punto in cui la strada descrive una “esse” assai accentuata, appoggiata da un lato al dorso del monte e fiancheggiata dall’altro da campi coltivati, l’automobile si trovò malauguratamente di fronte un’altra vettura che, a forte velocità, proveniva da Genova.

Le due macchine cozzarono quasi in pieno. In quel momento guidava Guglielmo. La loro automobile era più resistente, una FIAT 50 HP, sfondò la parte interiore dell’altra e vi si incastrò. I viaggiatori furono sbalzati sulla strada dall’urto. Beatrice rimase miracolosamente incolume, così come lo chaffeur. Guglielmo, riportò alcune contusioni al petto e, per la rottura del cristallo di protezione, ebbe una grave ferita all’occhio destro. Malgrado fosse l’ora di pranzo e tanti borghettini fossero intenti ai lavori dei campi (vendemmie) o nei boschi per le provviste di legna per l’inverno, in molti si prodigarono nel dare i primi soccorsi ai feriti. Dopo i rintocchi della “campana a martello” usata nei momenti di emergenza e della solidarietà, i feriti furono adagiati su scale a pioli adattate a barelle. Così Guglielmo ebbe le prime cure dal medico condotto locale.

Beatrice lo assistiva amorevolmente dimostrando un animo molto forte. Fu, però, assalita da un cupo presentimento. Dopo le prime cure venne trasportato d’urgenza all’ospedale militare marittimo di La Spezia. Le sue condizioni sembrarono peggiorare in serata. Purtroppo non riuscirono a salvargli l’occhio destro. Beatrice non ce la fece da sola a presentare a Guglielmo la cruda verità e ricorse all’aiuto del marchese Luigi Solari a cui spettò l’ingrato compito.

L’intervento fu sopportato con una serenità d’animo e uno stoicismo incomparabili con la moglie costantemente presente.

Per Beatrice continuava lo sballottamento della sua famiglia. Nel 1916 si trovava a Roma e, seppur ben sistemata, cominciava a sentire lo scricchiolio del proprio menage.

Il 10 aprile diede alla luce la terzogenita, Gioia. L’evento riuscì a riunire la famiglia ma giusto il tempo di uno sparo: Guglielmo ripartì subito per le Americhe, emissario di un importante incarico conferito dal Governo italiano.

In autunno Beatrice non riuscì a contrastare l’intenzione di Guglielmo di vendere la loro villa in via Raimondi a Roma. Di fatto non avevano alcun bisogno di spossessarsene perché le loro finanze si erano adeguatamente ristabilite. La rinuncia ad una residenza stabile, e ad una permanente sistemazione della famiglia, ha costituito forse una delle maggiori cause di un’agitata vita domestica e della mancata felicità familiare. Nella prima parte del 1917 Beatrice e Guglielmo affittarono la villa Sforza, presso il Gianicolo. Ma questo non placava la smania dell’uomo né la preoccupazione della donna, che non vedeva la convergenza dei reciproci interessi. Il culmine della consapevolezza si ebbe quando Guglielmo decise di acquistare una nave per poter compiere autonomamente i suoi esperimenti e spostarsi in piena libertà. Era il 1920, la nave era l’Elettra. Intanto Beatrice ed i loro due figli erano a zonzo d’albergo in albergo, in esito alle varie missioni compiute dal marito.

La donna non gradiva spostarsi in nave. Il suo soffrire il mal di mare stava accelerando la distanza tra i due coniugi che, per la forzata lontananza, andavano ad assumere stili di vita alquanto indipendenti e distaccati.

Nel 1921 Beatrice ed i suoi figli passarono molto tempo in Italia. Giulio si stava preparando ad entrare alla scuola militare e successivamente all’Accademia navale.

Gli anni a venire non furono meno ingenerosi per la coppia Beatrice – Guglielmo al punto che, nel 1924, maturarono la decisione di lasciarsi. Di fatto vivevano ormai separati. Per una serie di motivazioni, che era inutile rivangare, si era creata una distanza incolmabile che non poteva che concludersi con lo scioglimento del matrimonio. Almeno questo avrebbe assicurato la serenità per gli anni che rimanevano loro da vivere. Bisognava, però, risolvere alcuni problemi di ordine burocratico: in Italia non esisteva il divorzio e Guglielmo non se la sentiva di assumere cittadinanza inglese dove avrebbe potuto interrompere il matrimonio.

Propose, allora, una situazione acuta, come suo solito: poco prima che Fiume fosse annessa all’Italia ne avrebbe acquisita la cittadinanza, dove ancora esisteva il divorzio. Qui l’annullamento sarebbe stato possibile e solo per breve tempo non sarebbe stato italiano. La coppia, come di consueto, si avvalse del supporto di Luigi Solari, divenuto ormai amico di famiglia oltre che collaboratore ed assistente. Il 12 febbraio 1924 fu emessa sentenza di divorzio dal tribunale di Fiume, riportata nell’anagrafe civile italiana con atto del 20 marzo 1924. Il matrimonio di Beatrice e Guglielmo fu anche annullato dalla Sacra Rota il 30 aprile 1927, consentendo ai due di potersi risposare con rito religioso. In alcuni testi si maligna che l’annullamento fu scambiato con l’installazione di Radio Vaticana da parte di Guglielmo. In esito al divorzio Beatrice ottenne da Guglielmo la liquidazione di quanto richiesto e con una parte della somma comprò una bella villa a Posillipo. Conobbe il futuro marito, Marchese Liborio Marignoli di Montecorona, proprio a Posillipo a villa Emma, allora Marignoli.

La nobildonna non tardò a risposarsi, convolando a nozze il 12 aprile del 1924. Il resto della sua vita andò come erano le sue aspettative: senza girovagare troppo e con quel tocco di mondanità che la nuova famiglia, i nuovi amici ed il nuovo contesto, specie quello spoletino, dove viveva parte dell’anno, le consentivano. Villa Redenta, a nord di Spoleto, era la tra le residenze che preferiva. Beatrice ne rimase usufruttuaria essendo di proprietà dell’unica figlia, Flaminia, avuta da Liborio. Morì nel 1976 alla veneranda età di 94 anni potendo raccontare di aver veramente visto di tutto e partecipato, pur con i suoi modi ed il suo garbo, allo sviluppo delle radio trasmissioni.

Ma chi era veramente Beatrice, Bea come amava appellarla Guglielmo? Perché la sua attrazione verso Guglielmo non poté competere con quella della telegrafia senza fili? Come sono andate veramente le cose tra i due?

Consultando le varie fonti emerge un ruolo sicuramente più di sostanza che di forma.

Sappiamo di certo che il loro fu un matrimonio all’inizio molto riuscito e poi tempestoso: un po’ per i distacchi, un po’ per il temperamento mondano di lei, un po’ (forse soprattutto) per la distrazione con cui il premio Nobel 1909 per la fisica seguiva le vicende familiari, concedendosi numerosi intermezzi extraconiugali, come racconta la figlia Degna nella sua biografia. La crisi diventò insanabile al punto da sfociare nel divorzio.

Guglielmo era alquanto impenetrabile. Pur affabile, cortese e schietto non si capiva mai cosa pensasse veramente. Bea potrebbe essere stata l’unica in grado di superare quella barriera caratteriale. Il fatto di essere irlandese come la suocera potrebbe averla aiutata non poco. Guglielmo lo aveva ben compreso e continuò imperterrito a corrispondere e a rivolgersi a lei, anche dopo il divorzio, ogni volta che qualcosa lo preoccupava seriamente. Bea continuava ad essere la sua confidente più preziosa, la persona con la quale poter condividere le più recondite ansie e dalla quale vedersi restituita l’autenticità di sempre. Aveva vissuto con Guglielmo il periodo di massimo sviluppo della telegrafia senza fili ed i momenti più esilaranti della vita personale di entrambi. In diciannove anni erano nati tre figli, Guglielmo aveva ricevuto il premio Nobel, si erano intensificati i rapporti con i Reali d’Italia, Inghilterra ed altro ancora, aveva acquistato ed equipaggiato la nave Elettra. Bea e famiglia, pur sentitasi sballottata in lungo ed in largo, ha sempre mantenuto le condizioni emotive affinché il marito non penasse troppo per la ruggine che prima in superficie, e poi non solo, stava erodendo il loro rapporto. Ha assecondato il marito non solo nel divorzio ma anche nelle modalità, non ultimo l’annullamento a cura della Sacra Rota. Ha mantenuto quel rapporto di lealtà con Guglielmo che le è valso il ruolo di confidente “honoris causa”. Questo può aver influito molto nel rapporto con suo marito, moltissimo per lo sviluppo della telegrafia senza fili.

Grazie di tutto, Bea!